Niente più ammenda se non ricordiamo chi era alla guida della nostra auto al momento dell’infrazione? Non cantiamo vittoria troppo presto.
Ha fatto un certo scalpore la recentissima decisione della Cassazione secondo cui, in caso di multa con decurtazione dei punti della patente, il proprietario può giustificare la mancata indicazione di chi era al volante in quel momento sostenendo di “averlo dimenticato”, dato il lungo periodo di tempo trascorso tra l’infrazione e la notifica della multa. Ed evitando così la sanzione aggiuntiva di 286 euro.
A leggerla così, effettivamente, può sembrare un’apertura dei giudici a favore degli automobilisti, ma in realtà tale decisione deve essere contestualizzata, come giustamente sottolineato dal Sole24 Ore.
Infatti, l’ordinanza di cui si parla (n. 955/2018) riguarda una vicenda che risale al 2007, quando la polizia aveva ben 150 giorni per notificare la multa. Questo significativo lasso di tempo, secondo i giudici, giustifica il proprietario che non è più in grado di indicare con certezza chi guidava l’auto al momento dell’infrazione, anche perché la stessa auto era a disposizione di più membri della famiglia.
Ma è difficile pensare di applicare lo stesso ragionamento ora che, in seguito alla riforma del 2010, i tempi di notifica si sono ridotti da 150 a 90 giorni. I tempi, insomma, sono ben più ristretti, per cui non sembra potersi scalfire il consolidato orientamento della stessa Cassazione secondo cui il proprietario (essendo responsabile della circolazione del veicolo) deve essere sempre in grado di ricostruire, anche a distanza di tempo, chi fosse l’effettivo conducente del proprio mezzo.
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Se dunque un’apertura si può trovare, va letta nel senso che si deve valutare caso per caso, verificando se l’automobilista è in grado di dimostrare o meno l’impossibilità  materiale di effettuare la comunicazione prevista dalla legge. E dire semplicemente “non ricordo”, con tutta probabilità non basta.