Una ricerca pubblicata sulla rivista Science of the total environment, mette in discussione la velocità con la quale i sacchetti bio si dissolvono nell’ambiente. Lo studio condotto dall’Università di Pisa ha calcolato che sono necessari almeno sei mesi in mare perché questi bioshopper vengano “smaltiti” dall’ambiente. Nel lasso di tempo in cui questo processo si verifica, il rischio è che sacchetti, recentemente divenuti obbligatori in Italia anche per l’acquisto di prodotti dell’ortofrutta, possano comunque alterare lo sviluppo delle piante e “modificare alcune importanti variabili del sedimento marino come ad esempio ossigeno, temperatura e pH”.
Pronta la riposta di Assobioplastiche: “Lo studio non ha riguardato la biodegrabilità dei nuovi sacchetti” afferma l’associazione sottolineando che “la ricerca dell’ateneo pisano tratta invece della disintegrazione fisica di sacchi che, sulla base di uno schema sperimentale adottato dai ricercatori pisani, sono stati interrati manualmente nel sedimento. Sono state così create condizioni artificiose di cui deve essere tenuto debito conto nella valutazione dei risultati, sia di degradazione che di interazione con le alghe studiate”.
In effetti, per raggiungere le sue conclusioni il team dell’Università di Pisa, composto da Elena Balestri, Virginia Menicagli, Flavia Vallerini e Claudio Lardicci ha sperimentato il percorso del sacchetto nell’ambiente ricreando in laboratorio un “ecosistema in miniatura”. Le proprietà di questi prodotti di nuova generazione sono importanti, in vista della loro crescente diffusione. Gli studiosi sono stati in grado di stabilire che dopo sei mesi i bioshopper “alterano la composizione geochimica del sedimento marino” con possibili conseguenze “sulla coesistenza delle specie di alghe”.
Quindi “saranno necessari ulteriori studi per giungere a conclusioni scientificamente più robuste”. Assobioplastiche sottolinea che questo non significa che le plastiche biodegradabili “spariscano” magicamente a contatto con il mare. E’ anche ovvio, aggiunge, “che si possano creare delle interazioni tra un materiale solido (sia esso di plastica biodegradabile o di tessuto, come il cotone, o anche semplicemente una foglia) e l’ecosistema circostante. La posizione dell’industria delle bioplastiche a tal punto è chiara: tutti i rifiuti devono essere raccolti mediante la raccolta differenziata e recuperati. Il rilascio incontrollato in ambienti naturali non è una opzione, neppure per i rifiuti biodegradabili”.