Verdure da “agricoltura sostenibile”. Molti di voi avranno ascoltato questa definizione negli spot delle vellutate Knorr che in questi giorni stanno andando in tv. Qualcuno, come ha fatto Paolo, un nostro lettore, ci ha chiesto cosa significhi questo termine e se ha un valore “concreto e misurabile” per i consumatori.
Noi del Salvagente abbiamo cercato di capirlo, andando a leggerci il materiale che l’azienda ha pubblicato sul suo sito.
Partiamo da un presupposto: non esiste una definizione legale di “agricoltura sostenibile”, quindi al momento questa dicitura equivale a scrivere “come faceva Nonna Celestina”.
Al più, c’è un Piano d’Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, ma si tratta di un provvedimento nel quadro di un’azione comunitaria ai fini dell’utilizzo sostenibile dei pesticidi (direttiva 128/2009/CE), che è stata recepita con Decreto legislativo 150 del 14 agosto 2012.
On line non abbiamo trovato il disciplinare della Knorr Sustainability Partnership, ma solo dei depliant che ne enunciano i temi. Questi disciplinari dovrebbero essere pubblici, per consentire al consumatore di interpretare correttamente il concetto aziendale di “agricoltura sostenibile”.
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Se non spiega cos’è esattamente il suo approccio “sostenibile” (che per poter essere vantato deve prevedere qualcosa in più di quello che è già obbligatorio per tutti) quello di Knorr rischia di essere uno slogan accattivante, ma vuoto.
In ogni caso, dichiarando di “Approvvigionarsi al 100% di materie prime agricole sostenibili, comprese verdure, erbe, spezie e carne entro il 2020”, Knorr ammette che, per ora, si sta approvvigionando di materia prima che essa stessa considera “non sostenibile”…