Il Veneto risponde all’alzata di spalle del Governo sul problema degli inquinanti Pfas nelle acque, stabilendo limiti regionali. Il governatore Luca Zaia annuncia: “Non c’è che da prendere atto dell’atteggiamento scandaloso del Ministero della Salute che, negando la necessità di fissare limiti nazionali per la concentrazione di Pfas nelle acque potabili, fa finta di non vedere la realtà e, di fatto, ci dice di arrangiarci. Annuncio che da questo momento ci arrangiamo e, in piena autonomia, procederemo a una drastica riduzione dei limiti in Veneto”. La risposta è alla Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria del Ministero della Salute, che ha respinto la richiesta di fissare un limite nazionale per la presenza di sostanze Pfas nella acque.
Nuovi limiti al più presto
Zaia spiega: “Ho incaricato il Direttore Generale di Arpav Nicola Dell’Acqua, nella sua veste di Coordinatore della Commissione Ambiente e Salute, organismo che, con delibera del 13 giugno scorso, ha assorbito le competenze della Commissione Tecnica Pfas, di convocare al più presto l’organismo in questione con il mandato di definire una proposta di drastica riduzione dei limiti in Veneto, che la Giunta regionale approverà al più presto possibile, dando agli Enti Acquedottistici l’indicazione di uniformarsi con sollecitudine alle nuove disposizioni”.
Le accuse al governo
Il presidente della Regione Veneto accusa l’esecutivo di mancanza di volontà politica di gestire il problema: “
Basti pensare agli 80 milioni di euro promessi per la messa in sicurezza degli acquedotti e mai stanziati. È evidente che si penalizza la Regione che per prima si è attivata ponendo dei limiti già nel 2014, mentre per le altre aree del Paese si lascia che ogni Regione sia libera di fissare o meno dei limiti,
magari intervenendo quando i buoi saranno scappati dalla stalla”. Va ricordato, però, che la stessa Regione Veneto si è mossa in ritardo e solo dopo l’
allarme lanciato da Greenpeace.
Greenpeace: “Quattro anni di ritardo”
Giuseppe Ungherese, responsabile campagna inquinamento di Greenpeace commenta: “Era ora che qualcuno intervenisse seriamente sui limiti della presenza di Pfas. In Italia sono già previsti per l’acqua potabile ma sono altissimi rispetto agli altri paesi ( esempio sono 7 volte e mezza quelli indicati in Usa e 5 volte quelli tedeschi). La regione Veneto deve intervenire subito imponendo limiti molto più bassi, senza dimenticare di agire anche sulle fonti d’inquinamento. Bisogna censirle e bloccarle, perché altrimenti le falde saranno sempre inquinate”. Greenpeace, però, non dimentica il tempo perso anche dalle autorità venete nell’attivarsi. “Sono stati persi 4 anni e mezzo – spiega Ungherese – da quando il Cnr (il Consiglio nazionale delle ricerche, ndr) ha pubblicato il suo studio in cui parlava non solo de Veneto ma anche di altre zone interessante (In Lombardia, Piemonte e Toscana), ma si consideri che come ha reso pubblico il Noe (il Nucleo operativo ecologico dei carabinieri, ndr) qualche giorno fa, l‘inquinamento è iniziato negli anni ’70. Ancora oggi nella zona più colpita dall’inquinamento di Pfas ci sono famiglie che devono comprare 12 litri di acqua al giorno perché quella che esce dai rubinetti è contaminata. È un situazione insostenibile. Anche il Governo deve agire e intervenire al più presto”.
“Chi inquina paga”?
Greenpeace, intanto, ha presentato a Venezia il
rapporto “
Emergenza Pfas in Veneto, chi inquina paga?”. Elaborato dall’istituto di ricerca indipendente olandese SOMO in collaborazione con Merian Research (Berlino), il rapporto tenta di fare luce sull’assetto societario di Miteni, l’azienda chimica di Trissino ritenuta dalle autorità locali la fonte principale dell’inquinamento da Pfas in una vasta area del Veneto. Alcuni
dirigenti della presente e della passata gestione di Miteni risultano indagati, dalla Procura di Vicenza, per reati ambientali. Nel caso venissero confermate le ipotesi di reato a carico di Miteni, l’
azienda dovrebbe coprire i costi delle bonifiche e altre richieste di risarcimento. Tuttavia, dall’indagine di SOMO emerge che Miteni ha chiuso i suoi bilanci in passivo negli ultimi 10 anni. Secondo l’associazione ambientalista, l’attuale proprietà Miteni ha più volte sostenuto di non essere responsabile dell’inquinamento, riconducendolo alle precedenti gestioni, e di non essere a conoscenza dei gravi rischi ambientali connessi al sito di Trissino prima di procedere all’acquisto. “Tuttavia la vendita della società da parte di Mitsubishi ad ICIG per solo 1 euro, a fronte di un valore superiore ai 33 milioni, e la continuità di cariche di Brian Anthony McGlynn nelle due gestioni, pongono dei seri interrogativi sulla possibilità che l’attuale proprietà non sapesse della contaminazione” conclude Greenpeace.
La risposta del ministro Galletti
A rispondere alla critiche di Zaia è il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti: “Credo non ci sia mai stato un impegno tanto serio e determinato sui PFAS quanto quello messo in campo dal ministero dell’Ambiente e più in generale dai governi Renzi e Gentiloni in questi anni. Oggi ci sono standard di qualità ambientale per le acque superficiali e sotterranee che includono per la prima volta anche i Pfas, c’è un grande lavoro tecnico e scientifico con gli esperti del Ministero a disposizione delle Regioni per l’individuazione delle migliori strategie a protezione dell’ambiente e della salute dei cittadini, ci sono soprattutto i fondi statali per le infrastrutture e l’approvvigionamento idrico di acqua non contaminata per la Regione Veneto. E’ proprio di pochi giorni fa il decreto che sblocca gli ulteriori 80 milioni promessi nell’ambito dei Fondi Sviluppo e Coesione, assieme agli altri 23 già disponibili”.