I Comuni non possono far pagare la tassa dei rifiuti più alta ai cittadini non residenti. A dirlo è il Consiglio di Stato, con la sentenza 4223 del 6 settembre 2017. Esulta il presidente del Movimento difesa del cittadino, Francesco Luongo, secondo cui: “Finalmente si inizia a mettere un freno all’anarchia dei Comuni se non alla rapina dei contribuenti che in Italia versano a famiglia circa 1683 euro l’anno di tributi locali” . Luongo aggiunge: “La prassi, comune a quasi tutte le amministrazioni, di determinare la tariffa sui rifiuti a prescindere dai costi effettivi del servizio stesso, inserendo spese del tutto estranee, sottopone il Comune al rischio di concordato preventivo”
“scelte politiche e irragionevoli”
Per il Movimento la sentenza è chiara: “I Comuni non possono determinare le tariffe in libertà, generando irragionevoli o immotivate disparità tra categorie di superfici tassabili potenzialmente omogenee, giustificandoli con argomenti estranei allo specifico contesto. La discrezionalità di cui si avvale l’ente nel determinare le tariffe ha natura tecnica, non “politica” per cui la decisione si deve basare su una stima realistica della produzione di rifiuti in ragione delle caratteristiche proprie di quel territorio comunale”. In concreto l’ente deve rispettare, nell’esercizio della discrezionalità tecnica, il fondamentale principio di proporzionalità, anche in applicazione del principio comunitario «chi inquina paga», affermato in materia di Tarsu dalla Corte Ue nel 2009 e nel 2014”.
Via ai ricorsi
Una sentenza che mette dunque fine a una tassazione definita “medievale” da Mdc. “Si apre così la strada per migliaia di rimborsi, come già avvenuto con le varie sentenze della Cassazione che hanno dichiarato illegittima l’Iva applicata sulla bolletta della Tari. Le sedi del Movimento raccoglieranno le segnalazioni dei cittadini che negli anni hanno pagato un surplus illegittimo sulla tassa dei rifiuti e chiederanno i rimorsi agli enti locali”, conclude Luongo.