Cresce l’allarme per i frutti di bosco contaminati da norovirus, segnalati dal sistema di allerta rapito europeo (Rasff) lo scorso 4 maggio. La presenza di questo virus che crea gravi infezioni gastrointestinali, sul prodotto surgelato proveniente dalla Polonia, è stata rilevata in Germana, ma lo stesso lotto è stato distribuito in Austria, Belgio, Francia, Olanda, Lussemburgo, Polonia e Italia. Sul sito dell Rasff, il caso risulta essere stato preso in carica dalle autorità sanitarie con, che al 10 maggio segnalano di aver “preso le misure necessarie” e di aver raggiunto “i risultati delle indagini”. Eppure, non è stato reso pubblico né il numero di lotti contaminati, ne tanto meno cosa sia realmente successo. Quello che preoccupa è che già 5 giorni prima il portale segnalava il caso risolto, e dopo tre giorni ha dovuto pubblicare un sibillino “corrigendum”, per poi ritornare ad assicurare tutto risolto dopo altri due giorni.
Il precedente del 2013
Che i meccanismi di sicurezza alimentare rispetto a casi come questo siano tutt’altro che implacabili ne hanno avuto prova 4 anni fa tanti italiani. 1.787 connazionali finiti all’ospedale per una 7-10 giorni, più degenze lunghe in casa, di diverse settimane, in seguito all‘epidemia di epatite A scoppiata tra il 2013 e il 2014 in tutta Europa. Epidemia che le autorità hanno inseguito per lunghi mesi, ottenendo ben poco, a partire dall’apposita task force italiana, che a distanza di quasi un anno dalle prime segnalazioni, si limitava a consigliare (Dicembre 2013) di “bollire per almeno 2 minuti” i frutti di bosco per uccidere il virus. Il massimo che l’opinione pubblica riuscì a sapere è che la contaminazione partiva dalla Polonia, ma non è stato rese pubblico il nome dell’azienda responsabile dell’epidemia, né si ha alcuna certezza che le autorità l’abbiano effettivamente identificata.
Cronistoria di un fallimento per la sicurezza
La cronologia dell’epidemia di frutti di bosco surgelati all’epatite A è molto indicativa dei problemi nella catena di controllo: L’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa) riporta primi casi di infezione già a ottobre 2012; È il 1° marzo 2013 quando la Norvegia notifica agli altri Stati un focolaio di infezione di epatite A. Dopo la notifica, Finlandia, Norvegia e Svezia constatano anche nei loro territori un incremento anomalo di casi. Arriviamo al 23 maggio e il ministero della Salute emana una circolare con cui invita le Asl a monitorare i casi di malattia segnalati e “avviare indagini sul territorio nazionale per identificare l’esistenza di possibili casi autoctoni correlati e le potenziali fonti di infezione”. Da quello che risulta al Salvagente, a distanza di una settimana ancora degli ospedali che già ricoverano persone per questo motivo, non sanno nulla. A luglio, una lettrice del Salvagente si reca presso una Asl di Roma per far analizzare una confezione di frutti di bosco congelati della marca incriminata, dopo essere finita all’ospedale. L’Asl si rifiuta di analizzare il pacco, perché aperto: solo ad ottobre quello stesso lotto viene ritirato dal mercato, esponendo per ben 3 mesi migliaia di persone al contagio. Ad agosto 2014 vengono segnalati ancora casi ricollegabili all’epidemia.
Quali prodotti a rischio?
Di fronte a questo quadro, è difficile dormire sonni tranquilli alla notizia dei lotti di frutti di bosco surgelati contaminati da norovirus, almeno fino a quando l'”untore” non sarà individuato e reso pubblico, così come le ragioni della contaminazione. Nel frattempo, consigliamo di fare attenzione ai prodotti in cui i frutti di bosco surgelati possono essere contenuti:
– torte (guarnizione)
– pasticcini (guarnizione)
– gelato (al gusto di)
– frullati (al gusto di)
-centrifughe (con i frutti)
Quelli sicuri
Via libera invece per i prodotti in cui il processo di lavorazione e cottura uccide i virus:
– marmellate
– snack e merendine farcite
– gelatine
– salse
– creme
– pasticcini ripieni
– succhi di frutta (pastorizzati a lunga conservazione)