Quando il cibo non è solo nutrimento ma è passione, studio, ricerca, cura e sperimentazione conditi con una buona dose di visionarietà, allora può accadere che riesca a far sentire libero anche chi, invece, fisicamente, si trova dentro ad un carcere, dove i cancelli si chiudono dietro le spalle, ogni volta che li oltrepassi.
Quando, poi, questa visione del mondo, osservato dal punto di vista dei sapori e del gusto, si traduce in un blog che, attraverso la rete, permette un dialogo e uno scambio con l’esterno, allora la libertà appare più forte, dentro, nel profondo.
“Nessuno sconto per i detenuti”
È quanto accade a Renza, nei pressi di San Gimignano, dove da sei anni, dentro alla Casa di reclusione, è attiva una scuola, l’Istituto enogastronomico Ricasoli, in cui studiano un’ottantina di detenuti – dai 24 ai 60 anni – che stanno scontando una pena definitiva nelle sezioni di media e alta sicurezza del carcere.
Lì, tra quelle mura, studiano seriamente, come i loro colleghi che stanno all’esterno, più giovani, nella sede centrale dell’istituto, perché “ciò che da subito abbiamo voluto per questa scuola nel carcere, è la serietà del percorso didattico, che ha un ruolo fondamentale nel processo di rieducazione. Non facciamo sconti a nessuno, il fatto di essere in carcere per noi non può essere una scusa per frequentare una scuola in cui sia facile prendere un diploma, che sia spendibile una volta fuori – ci tiene a precisare Gilda Penna, la referente per il carcere della scuola, dove insegna italiano e storia -. Siamo convinti che l’istruzione e la cultura possano davvero rendere liberi, pretendiamo molto dai nostri studenti che sono molto motivati, si impegnano tantissimo e le soddisfazioni sono loro e nostre. Ed è proprio grazie a questo loro impegno che possiamo anche andare oltre a ciò che richiedono i programmi e pensare ad altri progetti come quello del blog”.
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Un primo ciclo di cinque anni si è già concluso con i primi diplomati e l’esperienza non solo prosegue, ma si irrobustisce con la nascita del blog Scriviamo con gusto, ideato dalla professoressa Penna con insieme alla collega Laura Staiano che insegna francese: uno “spazio” condiviso in cui i detenuti-chef comunicano all’esterno le loro nuove creazioni culinarie, raccontandone la genesi, le motivazioni culturali e le emozioni che le hanno prodotte.
Una brigata di cuochi in carriera
“Mentre eravamo presi dalla preparazione del piatto, ci è sembrato di non essere in carcere, ma di far parte di una brigata di cuochi in carriera… E chi lo sa, forse un giorno lo saremo!”, raccontano i ‘ragazzi’ del IV anno mentre parlano e descrivono il loro “Sushi ellenico”, un piatto pensato per unire luoghi lontani del mondo: “La scelta di preparare il sushi nasce da un nostro grande desiderio: vivere la vita nel tentativo di riscoprire i piaceri e i sapori del mondo”.
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Quei piaceri che, quando si è costretti tra quattro mura recintate ogni giorno, si avvertono ancora più vivi e forti, soprattutto se producono un’emozione: “Quando in cucina assemblavamo il piatto siamo stati tutti assaliti da un’inaspettata emozione, difficile da spiegare anche a giorni di distanza… Forse quell’emozione era dovuta al fatto che, nonostante le difficoltà iniziali, siamo ugualmente riusciti a raggiungere l’obiettivo prefissato”. L’obiettivo, appunto, uno scopo, ciò che spesso manca nel carcere, perché se il fine ultimo è la rieducazione, è difficile costruirsi una ragione quotidiana necessaria per raggiungere quell’obiettivo finale.
Ed ecco che la scuola e, in più, quel “dialogo virtuale”, tra dentro e fuori, può avere un ruolo molto importante sotto vari aspetti: “Le ricette pubblicate sul blog sono frutto di un lavoro di gruppo completo, anche didatticamente”, spiega Gilda Penna. Si sceglie un tema e si lavora su quello: il mondo, il limite, i sensi, alcuni degli esempi. “Poi attorno a questo tema i ragazzi costruiscono una ricetta in base alla quale, a partire dagli ingredienti, incrociano le altre materie, la storia, l’italiano, la scienza dell’alimentazione. Si studiano le origine degli alimenti, si riflette sui concetti per comunicare le emozioni e si fanno ricerche dal punto di vista nutrizionale”.
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Un ponte tra il dentro e il fuori
“Limiti di paura, limiti d’amore, limiti inconsapevoli mettono in catene i miei sentimenti… Ricordo i mille baci di mia madre, i passi incerti da bambino, l’amore perduto, il calore di un saluto sincero, il rumore del mare, il colore e i sapori del mondo. Non sento più dolore né il peso delle mie catene perché so di oltrepassare i miei limiti stringendo un felice pensiero”. Già in questi pochi versi pubblicati da un detenuto-studente sul blog è racchiuso, in fondo, il senso di questa esperienza, che a partire dal cibo costruisce un ponte ideale e un dialogo con l’esterno, molto utili per diventare ‘persone nuove’.
Ed è proprio il tema del processo rieducativo uno di quelli emersi con forza durante la competizione culinaria che si è svolta lo scorso anno scolastico tra i ragazzi dell’Istituto ‘fuori’ dal carcere e gli studenti-detenuti del Ricasoli, che, per pochi punti, si sono aggiudicati la vittoria. “È’ stata un’esperienza molto bella che ripeteremmo volentieri – il giudizio dei giovani studenti – : entrare nel carcere all’inizio ci ha messo un po’ di ansia, ma poi conoscendoli e chiacchierando insieme, i detenuti ci sono sembrate persone ‘normali’, come noi”, che hanno fatto degli errori, ha aggiunto un membro della commissione, Claudia Cerati proprietaria di un ristorante di San Gimignano, ma che oggi “dicono di sentirsi persone diverse, nuove, e sembra proprio che sia così”.