È ancora al centro del braccio di ferro tra favorevoli e contrari il Tttip, e già monta la polemica su un altro trattato che coinvolge l’Unione europea che potrebbe far rientrare dalla finestra i rischi che si sta cercando di lasciare fuori dalla porta con l’accordo tra Europa e Stati uniti. Si tratta del Ceta, il trattato commerciale tra Ue e Canada, che ha in comune con il Ttip un impianto che mira a facilitare la circolazione di prodotti e servizi, sbilanciata sul diritto al commercio a discapito del diritto alla salute e alla sicurezza alimentare. La bufera si è sollevata sul ministro allo Sviluppo economico, Carlo Calenda, che pochi giorni fa aveva dichiarato che l’Italia non avrebbe richiesto al consiglio europeo una ratifica del Ceta da parte del parlamento italiano, posizione di cui oggi ha dovuto rendere conto alla Camera.
Il trattato cugino del Ttip
Il Ceta è stato concluso nel settembre 2014 ed è ormai sulla via della ratifica parlamentare. Il processo di approvazione può passare solo dal Parlamento Europeo, o anche da quelli nazionali. Germania e Francia, ad esempio, sono per quest’ultima opzione, al contrario del nostro Paese. Secondo il Ministro Calenda, “Per i vantaggi che porterà, il Ceta dovrebbe essere concluso nel più breve tempo possibile”. Dopo un mail bombing delle associazioni contrarie al Ttip, la stessa presidente della Camera, Laura Boldrini, ha accolto e rilanciato la richiesta di ratifica nazionale aprendo una vertenza con il Governo a seguito delle email di appello ricevute dai cittadini”.
Il rischio querele agli Stati
Monica Di Sisto, portavoce della campagna Stop Ttip Italia, spiega al Test Salvagente perché anche questo accordo è un rischio, come quello con gli Usa in fase di negoziazione, nonostante riguardi un volume d’affare decisamente inferiore. “Innanzi tutto, prevede lo stesso meccanismo di risoluzione delle controversie che permetterà alle multinazionali di chiedere un risarcimento per danni agli Stati”, e questo per il solo fatto di danneggiare i propri affari imponendo leggi restrittive. Nel caso degli accordi internazionali del Canada esistono già precedenti. Nel 2014 una compagnia canadese di estrazione mineraria, la Gabriel Resources, ha querelato per danni il governo rumeno, dopo che il parlamento aveva bloccato una delle sue miniere per rischi ambientali in una zona di particolare pregio naturalistico.
Il piano B di Monsanto e Co
Ma il punto principale, secondo Di Sisto, è un altro: “Ci sono diverse multinazionali, tra cui la Monsanto e Cargill, che si occupano di sementi biotech, McDonald e Microsoft, che hanno delle consociate con sede legale in Canada. In caso di contenzioso con l’Ue potrebbero passare da quelle sedi, anche se il Ttip non andasse in porto”. “La posizione del Governo v – aggiunge Di Sisto – forza addirittura gli articoli del Trattato di Lisbona, un deroga che non possiamo ignorare perché potrebbe trasformarsi in un pericoloso precedente in vista di altri negoziati, vedi Ttip”. “Persino il Governo tedesco spinge per una ratifica del Parlamento” chiarisce Elena Mazzoni, del coordinamento nazionale di Stop TTIP Italia, “così come richiesto da altre assemblee legislative, come quella austriaca e ungherese. Al solito il Governo Renzi per bocca del suo Ministro allo Sviluppo Economico si mostra dipendente dalle decisioni della Commissione Europea, rompendo con le posizioni più ragionevoli di altri Paesi membri”.
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