Il nucleare italiano? Lo paghiamo in bolletta

thermal power

Cosa resta del nucleare in Italia? Una montagna di rifiuti da smaltire. In questi giorni si celebra il trentennale del disastro della centrale nucleare di Chernobyl e il Corriere.it fa il punto sull’eredità della consultazione referendaria del 1987 quando la maggioranza dei cittadini che andò alle urne votò per il “sì”, abrogando una serie di norme e orientando le successive scelte in ambito energetico in direzione contraria all’uso del nucleare che, però, non ha mai smesso di essere uno dei temi di interesse (e anche una preoccupazione) dei governi. Basti pensare – come scrive il Corriere – che nel febbraio del 2009 il nostro Paese firmò un accordo con il governo francese per realizzare quattro reattori di tecnologia EPR (centrali di «terza generazione») da 1.600 megawatt ciascuno. L’intesa tra Silvio Berlusconi e Nicholas Sarkozy prevedeva la cooperazione sulla produzione di energia con l’atomo. Lo scopo dichiarato di questa politica era tagliare le emissioni di gas serra, ridurre la dipendenza energetica dall’estero e abbassare il costo dell’energia elettrica all’utente finale.

La nostra inchiesta

Il numero in edicola de Il Test-Salvagente ospita un’approfondita inchiesta sui costi del nucleare nel nostro Paese. Costi che gravano sulla nostra bolletta elettrica: “Fa impressione scoprire – scrive Maurizio Bongianni sulle pagine del nostro mensile – che poco più del 7% degli oneri (la componente tariffaria A, ndr) finiscono nello smaltimento delle centrali nucleari”. Si tratta di una somma in continua crescita: nel 2015 è stata pari a 323 milioni di euro, il doppio rispetto all’anno precedente.

Dove vanno a finire questi soldi?

Sul numero in edicola si ripercorre la strada di questi oneri che passa soprattutto attraverso lo smaltimento dei rifiuti radioattivi italiani che, nonostante non vi sia più produzione di elettricità da fonti di energia nucleare, sono in costante crescita.

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