Glifosato nelle acque, cresce la preoccupazione dopo le nostre analisi

“Dopo il ritrovamento di glifosato in misura superiore ai limiti di legge nell’acqua potabile di Campogalliano e Brunsengo, grazie alle analisi di laboratorio condotte da Il Test – Salvagente (e pubblicate sul numero in edicola) pretendiamo che le istituzioni pubbliche replichino la campionatura nel minor tempo possibile”, avverte Alessandro Mostaccio segretario generale del Movimento consumatori. È stato proprio il Movimento consumatori che ha aiutato il Test-Salvagente a effettuare la campionatura piemontese delle acque potabili.

Mostaccio non nasconde la sorpresa rispetto a questo risultato che ha coinvolto le provincie di Modena e Biella. “Ammetto che difficilmente credevo si potesse trovare glifosato nelle acque potabili italiane – chiarisce Mostaccio -. Una cosa sono le piantagioni americane, altra ancora le immense coltivazioni di Paulaner e Becks (il glifosato è stato trovato nella birra, di recente, ndr) in Germania, ben altra i campi italiani. Ma invece è successo ed è d’obbligo andare a fondo”, aggiunge Mostaccio.

UN NEMICO SUBDOLO

Nelle acque di queste due località, sulle 26 analizzate dal laboratorio a cui il Test ha commissionato l’analisi, è stato trovato più precisamente l’Ampa, metabolita del glifosato. Questo significa, in sintesi, che l’acqua è entrata in contatto col glifosato, e che la sostanza si è accumulata e poi trasformata (metabolizzata). Oltre tutto, come sottolinea, Giovanni Dinelli, professore di Agronomia e culture erbacee all’Università di Bologna, “i campioni sono stati raccolti all’inizio di marzo, momento dell’anno in cui è più difficile riscontrare tracce di questa molecola che, tuttavia, è sempre di difficile ricognizione e non tutti i laboratori sono in grado di riuscirci”.

Da notare inoltre che i campioni sono stati prelevati in piccole quantità: “Se si moltiplicano i 4,6 mcg/litro di Brusnengo e i 2,3 mcg/litro di Campogalliano per tutte le migliaia di litri di acqua in uscita da un acquedotto, i numeri diventano sorprendenti”. Del resto, un dossier prodotto da Legambiente Emilia-Romagna relativamente al 2014 e alla presenza di una sommatoria di pesticidi nelle acque superficiali non faceva ben sperare. “Sarebbe bene capire da dove proviene esattamente quell’acqua contaminata – aggiunge Dinelli -; se dovesse arrivare da una falda sarebbe ancora più preoccupante perché vorrebbe dire che il glifosato si è ‘insinuato’ in profondità”.

PER LA LEGGE? NON ESISTE

Le aziende che forniscono i servizi idrici in queste due località – Aimag nel Modenese e Sii nel Biellese – non si sono ancora espresse nel merito di queste analisi e non è detto che non decidano a loro volta di produrre una analoga campionatura. “Con Aimag è in vigore un protocollo di conciliazione con la nostra associazione e crediamo sia necessario fare chiarezza”, precisa anche Marina Goles del Movimento consumatori di zona. Tuttavia, è doveroso sottolineare che la legge – ad oggi – non obbliga a cercare glifosato nell’acqua: l’unica istituzione pubblica che lo fa – in Italia – è l’Arpa della Lombardia. Il decreto 31 infatti non prevede che venga ricercato il glifosato.

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“Non possiamo pensare di doverci affidare al privato per vedere tutelata la nostra salute”, sbotta Mostaccio. Ma la riflessione diventa ancora più necessaria se si pensa al dibattito in corso in Europa, dove entro giugno si dovrà decidere se autorizzare di nuovo il glifosato in agricoltura, nonostante le indicazioni dello Iarc (Istituto per la ricerca sul cancro) lo definiscano “probabilmente cancerogeno” sulla base di studi scientifici decennali.

VINCE IL PROFITTO

Ciò che ancora più difficile comprendere è perché non vinca, in questo dibattito, il principio di precauzione: “È ora di finirla con questa modalità con cui si privatizzano i profitti e si socializzano le perdite”, attacca Dinelli. Dove per profitti si intendono quelli esorbitanti delle aziende produttrici di glifosato, vedi Monsanto, e per perdite quelle relative alla salute umana. “Se non si vuole fare un ragionamento umano ma anche solo economico, allora bisogna anche dire che curare malati cronici costa molto”, chiarisce il professore.

L’ALTERNATIVA VERDE

Intanto, comunque, c’è chi si muove per far passare l’idea, anche tra gli addetti ai lavori, che del glifosato si può fare a meno. In Toscana, dove dallo scorso luglio, l’utilizzo stato vietato per usi extra-agricoli a seguito delle segnalazione di Iarc-Oms, il consorzio Sinergia verde promuove, ad esempio, il ‘foamstream’: un diserbante innovativo che non utilizza erbicidi chimici ma una miscela di acqua calda e schiuma biodegradabile a base di oli vegetali naturali e zuccheri, che viene applicata con precisione sulle erbacce attraverso l’utilizzo di un sistema termico di erogazione.