Il glifosato deve essere rilevato anche in Italia. A chiederlo è il Wwf all’indomani della ricerca condotta dall’Istituto per l’ambiente di Monaco che ha riscontrato la presenza di tracce dell’erbicida in 14 birre. Il glifosato è un erbicida non selettivo impiegato sia su colture arboree che erbacee e aree non destinate alle colture agrarie (industriali, civili, argini, scoline, ecc.). È attualmente utilizzato in 750 prodotti per l’agricoltura: tra quelli che lo contengono come principio attivo il più noto è certamente il Roundup della Monsanto, una miniera d’oro per gli affari della multinazionale di biotecnologie agrarie. Basti pensare che secondo le stime della US Geological Survey, il consumo dell’erbicida è passato dai 50 milioni di tonnellate del 2002 ai 128 del 2012, e la tendenza è quella di crescere, perché le piante infestanti sono sempre più resistenti e quindi hanno bisogno di dosi maggiori della sostanza per avere lo stesso effetto.
CHI CERCA… TROVA
Il tutto a danno della nostra salute. Agricoltori, semplici passanti e altri operatori possono essere esposti a questa sostanza durante le applicazioni. Non solo, la contaminazione può riguardare i prodotti dell’agricoltura e anche la catena alimentare, dal latte alla carne.
Nonostante il glifosato sia un probabile cancerogeno per l’uomo – così lo ha definito nel marzo dello scorso anno la Iarc – e la sua presenza nelle acque sia ampiamente confermata anche da dati internazionali, in Italia il suo monitoraggio è effettuato solo in Lombardia, dove la sostanza è presente nel 31,8% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali e il suo metabolita, Ampa, nel 56,6%.
L’edizione 2014 (relativa agli anni 2011 e 2012) del rapporto sui pesticidi nelle acque a cura di Ispra, annovera il glifosato al terzo posto tra le sostanze più frequentemente rilevate nel monitoraggio delle acque superficiali e in molti casi la quantità supera gli standard di qualità ambientale: questo significa che laddove è cercato – lo ripetiamo, solo in Lombardia – è il pesticida più presente.
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Per questo motivo il Wwf chiede che venga esteso il monitoraggio in tutta Italia. Non solo. Con una petizione che ha già raccolto circa un milione e 400 mila firme, l’associazione ambientalista insieme a un tavolo di associazioni per l’agricoltura biologica e ambientaliste “nel dubbio che possa essere cancerogeno, chiede venga messo al bando sulla base di un approccio precauzionale. Ad oggi, invece, funziona al contrario: finché non si dimostra che è nocivo se ne continua ad autorizzare l’uso”.