Spaghetti e pesticidi, un’accoppiata che non poteva non fare rumore e provocare mal di pancia. Tanto nei consumatori e nei lettori del nostro ultimo numero di Test-Salvagente, che tra le aziende. O meglio tra quelle che hanno mostrato alle nostre analisi la presenza di residui di fitofarmaci.
Malumori che hanno spinto l’Associazione delle industrie a scriverci una lunga lettera che pubblichiamo integralmente. Ovviamente con qualche considerazione nostra a latere.
Egregio direttore,
scrivo, in qualità di Presidente dei Pastai italiani A.I.D.EP.I. (Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane, che rappresenta, ad oggi, la più grande associazione italiana del settore alimentare ed il primo polo associativo cerealicolo – dolciario), in relazione al servizio di copertina del Test-Salvagente “Spaghetti i pericoli nel piatto”.
Come Associazione, nell’interesse generale di chi rappresentiamo e dei consumatori, riteniamo che l’indagine di cui all’articolo e i suoi contenuti presentino diversi profili quantomeno discutibili: nonostante i valori riscontrati – come ammesso nel corpo dell’articolo – siano “ben al di sotto dei limiti di legge” (limiti a loro volta, per quel che dice la norma stessa, altamente prudenziali), il titolo dell’articolo recita “Spaghetti i pericoli nel piatto” e “grano pulito”, il che lascia francamente stupefatti, poiché non vi è alcuna coerenza fra il titolo e il contenuto dell’articolo. Ci risulta inoltre che non siano stati resi disponibili contro-campioni e che nonostante si sia fatto uso di un laboratorio sicuramente qualificato, che risulta accreditato per analisi microbiologiche, il laboratorio in questione non sia particolarmente focalizzato su queste specifiche analisi.
Non si è poi assicurato alcun contraddittorio tecnico con le imprese interessate in fase di analisi, il cui esito è stato, nondimeno, massicciamente reso noto al pubblico. Non è da ultimo stata data al consumatore-lettore alcuna informazione sui valori di legge, sulla possibile variabilità dei dati nel tempo, sulla numerosità dei pesticidi consentiti dalla legge e soprattutto sulla concreta significatività dei valori riscontrati nel caso specifico.
Gli effetti dell’articolo in questione non si sono fatti attendere: vi è stata una ripresa su La7 nel corso della trasmissione “Tagadà” andata in onda lo scorso 27 gennaio, a cui Lei ha partecipato e, più recentemente, una ripresa su TV2000 in data 3 febbraio u.s. da parte della trasmissione “Attenti al lupo – Spaghetti e maccheroni: la qualità non è scontata”, alla quale ha preso parte la D.ssa Valentina Corvino nel corso delle quali i citati contenuti sono stati reiterati, omettendo del tutto quel che l’articolo (almeno) diceva e cioè che i valori, quand’anche riscontrati, risultavano ben al di sotto dei valori di legge.
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Non meno grave è la circostanza che, durante la trasmissione, la dottoressa Corvino abbia associato, ribadendolo a più riprese, la presenza di residui di pesticidi, che sono usati per garantire la sicurezza e la qualità del prodotto finito, a una cattiva qualità della materia prima. Il tutto, infine, confusamente associato ad altra tematica, quella della provenienza dei grani, che riteniamo non priva di colorazioni demagogiche (si fa cenno a qualità, sicurezza ed altro ancora), specie per un settore come il pastario, in cui la provenienza parzialmente estera dei grani è prassi consolidata da secoli e necessaria per le notorie carenze quantitative e, in alcuni casi, anche qualitative. È di contro notorio che ciò che conta nella produzione della pasta italiana, che da sempre tutto il mondo ci invidia, sono le caratteristiche qualitative del grano ed il “saper fare” nel trasformarlo in semola e quindi in pasta, secondo una tradizione ultra centenaria che le famiglie italiane di pastai tramandano di generazione in generazione.
La nostra Associazione, le imprese sue associate, le migliaia di lavoratori che vi operano, quotidianamente promuovono qualità e trasparenza nei confronti dei consumatori, che per essi costituiscono fine indiscusso e prioritario.
Articoli come quello in questione, e i loro seguiti su altri media che necessariamente ne scaturiscono, certo non premiano tale quotidiano sforzo, anzi rischiano seriamente, riteniamo ingiustamente, di vanificarlo.
Il Presidente Pastai AIDEPI
Riccardo Felicetti
Al presidente dell’Associazione Pastai, ovviamente, e alle aziende tirate in ballo è necessario dare una risposta articolata. Procediamo per punti.
PESTICIDI NEI LIMITI, MA…
È vero come scrive Felicetti che le sostanze che abbiamo rintracciato sono sempre al di sotto dei limiti di legge, e così abbiamo scritto tanto sul giornale che sugli articoli pubblicati sul web. È altrettanto vero che la presenza di residui in un prodotto industriale è evitabile, tanto più lo dovrebbe essere quella di più di un pesticida in una stessa confezione. Lo dimostra, tra l’altro, il fatto che gran parte delle paste del nostro test (11 marchi su 14) non li contenevano. Il dottor Felicetti sa bene che proprio per evitare queste sgradite presenze si rispettano tempi di sospensione (in chi usa fitormaci per il grano) tra i trattamenti e la raccolta.
Si può definire un campione che presenta residui di pesticidi un prodotto di qualità o un grano pulito? Su questo siamo d’accordo con il presidente dell’Aidepi: questa è materia quantomeno discutibile. Tanto più che nel nostro concetto di qualità e di pulizia c’era anche la questione delle micotossine che rendono alcuni di questi marchi inadatti alla prima infanzia. Ancora una volta, nel perfetto rispetto della legge che classifica queste paste “per adulti”. Argomento a cui il presidente non fa cenno ma che, secondo noi, meritava lo spazio informativo che gli abbiamo dato.
IL CONTRADDITTORIO
Meno discutibile e – a nostro avviso – non corretta è l’affermazione che non si sia data possibilità alle aziende di esprimere la propria opinione. A tutte sono stati inviati i dati “contestabili”, assieme, ovviamente, al lotto che identifica inequivocabilmente il prodotto analizzato. Nel caso – quello di Divella – in cui ci è stato contestato il risultato di una prova, abbiamo chiesto al laboratorio di ripetere l’esame, che ha confermato il valore pubblicato.
Ci viene rimproverato di non aver fornito il controcampione a chi lo chiedeva. Spieghiamo ai nostri lettori: quando realizziamo un test acquistiamo i prodotti da inviare in laboratorio e teniamo conservate alcune confezioni per eventuali ripetizioni di analisi e come prova legale del nostro lavoro. In 25 anni di test comparativi è la prima volta che un’azienda, nel caso specifico, la Barilla, ci chiede una confezione per le controanalisi. La richiesta ci è parsa incomprensibile, dato che le industrie, normalmente, sono in grado di risalire dal lotto alle caratteristiche del prodotto finale e hanno modo di esaminarlo in caso di problemi (esattamente come ha fatto Divella) e di contestare eventuali dati scorretti. A ogni modo abbiamo dato rilievo sul giornale alle considerazioni dell’azienda di Parma così come a tutte quelle che hanno voluto inviarcele.
QUALI SFORZI PREMIARE
Che il nostro giornale voglia vanificare gli sforzi della buona industria italiana è affermazione che, ovviamente, non condividiamo. La realtà, a nostro giudizio, è opposta: il Test-Salvagente fa proprio della qualità e dell’indicazione di chi la pratica e riesce a garantirla, il valore aggiunto di una testata abituata a fare i nomi dei prodotti che analizza. Basta guardare la nutrita schiera di prodotti che abbiamo classificato come eccellenti, ottimi e buoni per rendersi conto che il nostro punto di vista non è mai né scandalistico, né pregiudizialmente contro. E sarebbe bastato ascoltare attentamente anche le trasmissioni tv citate per sentirci specificare che la notizia non era solo quella dei marchi “bocciati”, ma anche quella dei molti promossi.