Tossinfezioni alimentari, ne soffrono 600 milioni. Ma difendersi si può

Ogni anno circa 600 milioni di persone soffrono dei disturbi causati dal cibo che viene contaminato da prodotti chimici, batteri e parassiti. Un terzo dei decessi riguarda ragazze e ragazzi sotto i cinque anni. E’ la conclusione cui giunge uno studio dell’Organizzazione mondiale della sanità. Oggi le tossinfezioni alimentari sono molte, se ne contano più di 250 che si manifestano con differenti sintomi e sono causate da diversi agenti patogeni, perlopiù batteri, virus e parassiti.

Clostrydium botulinum & Co

Innanzitutto, occorre fare una distinzione tra infezione e intossicazione. Si parla di infezione quando la malattia è provocata direttamente da microrganismi attivi (come il vibrione del colera) che contaminano il cibo e poi si riproducono nell’apparato gastroenterico. Si tratta di intossicazione, invece, quando l’agente patogeno non sono più i microrganismi attivi, ma le tossine prodotte durante la lavorazione o la conservazione.

Tra i microrganismi più diffusi del primo tipo, ma anche in grado di produrre tossine, ci sono le Salmonelle, che si possono trovare nelle uova (non solo sul guscio ma, come risulta da ricerche recenti, anche all’interno), nelle carni crude specie di suini e volatili, nel latte e derivati, nei mitili e in genere in tutti i molluschi bivalve. La Lysteria può essere presente nei prodotti di origine animale, nella carne bovina cruda, nelle salsicce, nella carne di pollo e nei formaggi.

Appartiene alla seconda grande famiglia, il Clostrydium botulinum. Le sue tossine, responsabili del botulismo, l’intossicazione più pericolosa perché spesso letale, si sviluppano in ambiente privo di ossigeno e non acido: conserve in scatola e in barattolo, alimenti sott’olio, insaccati e salumi contaminati e mal conservati. Le tossine dello Staphylococcus aureus si producono negli alimenti ricchi di proteine e poco acidi, come pasticci di carne, pesci e crostacei cotti, nei prodotti di pasticceria, creme a base di uova e latte, gelati, nei formaggi preparati con latte non pastorizzato.

Come riconoscere una tossinfezione alimentare?

Quasi tutti questi germi sono subdoli: si sviluppano senza modificare in modo visibile l’alimento sicché non ci si accorge di avere ingerito cibi contaminati. I sintomi delle tossinfezioni sono vari, ma hanno caratteristiche comuni: un periodo di incubazione molto breve, da una a un massimo di 72 ore, disturbi allo stomaco e all’intestino, come nausea, vomito, dolori addominali e diarrea, febbricola o assenza di febbre, possibili attacchi di cefalea e capogiri, per lo più una scomparsa rapida e spontanea della sintomatologia. Un discorso a parte va fatto per l’epatite A, a differenza delle altre malattie ricordate, causata da un virus, diffusissima in Italia ed endemica in certe zone. Il virus agisce determinando l’infiammazione e la morte delle cellule epatiche, la malattia ha un periodo di incubazione di due-sei settimane, si manifesta con febbre, dolori articolari, stato di malessere, nausea, vomito e spesso con l’ittero (pigmentazione giallastra della pelle), urine scure. Gli alimenti che più facilmente possono trasmettere l’epatite A sono i frutti di mare e le verdure crude.

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Regola numero uno: fare attenzione alle abitudini domestiche

Imputate numero uno sono le cattive abitudini domestiche. Evidentemente non basta la consapevolezza dei rischi legati alla cattiva conservazione dei cibi e una certa sensibilità nei confronti della sicurezza alimentare: le famiglie italiane, infatti, continuano ad avere una scarsa competenza sui modi e le temperature di conservazione degli alimenti. I comportamenti errati comunemente tenuti in cucina sono: preparazione troppo anticipata dei pasti, conservazione a temperatura ambiente dei cibi e raffreddamento inadeguato. Ma i rischi sono anche fuori i confini della cucina di casa.

Freddo per la conservazione e caldo per la cottura

Le armi più efficaci per combattere i microbi sono quelle che noi stessi temiamo: freddo e caldo, il primo per la conservazione, il secondo per la cottura. Il freddo che riesce a produrre un frigorifero si aggira intorno ai 4 gradi centigradi: una soglia non sempre sufficiente a inibire la moltiplicazione dei microbi. Risultati migliori si ottengono invece a temperature inferiori a zero gradi, quindi nel congelatore. Dalla parte opposta del termometro, si osserva che i microbi vivono a loro agio solo fino a 37 gradi: la “febbre” è infatti una forma di difesa del corpo contro i microbi che l’hanno attaccato. Via via che la temperatura aumenta, diminuisce la presenza di microrganismi. Tra i vari modi di cucinare “pulito” risulta molto efficace la frittura, perché l’olio ha il pregio di raggiungere temperature molto elevate, anche 180 gradi. Tuttavia, è bene ricordare che se l’olio fa fumo (come avviene alzando troppo la fiamma del gas) la frittura diventa nociva e poco digeribile. Meglio allora “sterilizzare” il pasto a 180 gradi con una cottura prolungata nel forno.

Per mangiare senza rischi conviene rispettare tempi medio-lunghi anche nella preparazione di pasti che richiedono la bollitura in acqua o altre sostanze acquose (come sughi, salse, uova e vegetali molto umidi), la cui temperatura durante la cottura oscilla intorno ai 100 gradi, 120 nella pentola a pressione. Per eliminare i batteri, con questo calore si rende necessario prolungare la bollitura per almeno dieci minuti: meglio quindi preferire la pasta all’uovo artigianale spessa e larga, come le fettuccine, al posto di quella sottile, come i tagliolini, che cuoce in un paio di minuti.

Altri strumenti igienizzanti si trovano proprio tra i cibi: l’abbondanza di sale o di zucchero (il 50 per cento dell’alimento, come nelle marmellate) provocano l’assorbimento totale dell’acqua e l’eliminazione dei microbi. E ancora, le sostanze acide, come il pomodoro o i liquidi con aggiunta di aceto o limone, vincono anche il microbo più ostinato. Per questo, sono considerati piuttosto affidabili (e conservabili in frigorifero senza rischio) i piatti a base acida, come un sugo di pomodoro bollito solo per dieci minuti o un pesce bollito e condito con olio e limone.

Per maggiore sicurezza, infine, conviene cuocere per un po’ anche i cibi già cotti e conservati in frigo, prima di mangiarli. I microbi, infatti, hanno la capacità di esistere anche in forma “non viva”, inchiudendosi in una capsula (spora) in attesa di condizioni più favorevoli. La spora rappresenta una forma di difesa tenace. Si neutralizza sottoponendola a temperature superiori a 120 gradi per tempi prolungati.

Abitudini alimentari ma non solo

Produzione, lavorazione, conservazione e vendita degli alimenti sono quattro fasi importanti e delicate, durante le quali il rischio di proliferazione di microrganismi dannosi alla salute è elevato. I casi di intossicazioni di massa, che periodicamente si guadagnano gli onori delle cronache, sono soltanto quelli più eclatanti: carenze igieniche nei processi di produzione, lavorazione e così via non sono rare, al mercato come al ristorante o alla mensa.