Deodoranti e alluminio, un rapporto ad alto rischio

Aluminium free o deodoranti che promettono 24, 48 perfino 72 ore senza sudare? Il dibattito è aperto. Lo è tra le aziende – tutte oramai hanno almeno una linea dichiaratamente senza alluminio– e tra i consumatori che, legittimamente diffidano della presenza del metallo e della sua azione antitraspirante.

Il Test di questo mese dedica il servizio di copertina del numero in edicola proprio su questo argomento e pubblica la lista dei 50 antitraspiranti che ancora contengono alluminio e il  confronto dei 20 prodotti che lo hanno escluso.

Ma perché si diffida di questo metallo? E quali sono le conoscenze – e i dubbi – scientifici? Andiamo con ordine.

10 ANNI DI SOSPETTI

I sali d’alluminio sono gli antitraspiranti più utilizzati nei deodoranti: la loro azione è quella di agire sulle ghiandole sudoripare limitando la secrezione di sudore. Come risultato, si riduce la formazione del sudore e con esso anche l’odore sgradevole del corpo. Questa funzione non è sempre positiva per il nostro organismo. Innanzitutto perché traspirare fa bene: attraverso la sudorazione – ma non solo con essa, nel processo intervengono anche fegato e reni – vengono eliminate le tossine e il corpo si depura.

Non conosci il Salvagente? Scarica GRATIS il numero con l'inchiesta sull'olio extravergine cliccando sul pulsante qui in basso e scopri cosa significa avere accesso a un’informazione davvero libera e indipendente

Sì! Voglio scaricare gratis il numero di giugno 2023

Allo stesso tempo anche l’alluminio in sé è finito più volte sotto i riflettori della comunità scientifica perché accusato, se non di contribuire alla formazione dei tumori al seno, di accelerare la loro comparsa. I primi studi in questo senso sono ad opera della microbiologa inglese Philippa D. Darbre dell’Università di Reading incuriosita dall’elevatissima incidenza di tumori che si sono sviluppati nel quadrante superiore esterno del seno, ovvero in concomitanza con l’area in cui viene generalmente applicato l’antisudorifero. Da quelle prime evidenze, molto chiare, sono trascorsi più di 10 anni e i dubbi sulla tossicità del metallo pesante per il corpo umano non sono mai stati sciolti del tutto.

ACCOPPIATA DA BRIVIDI

Gli agenti patogeni che ha identificato la microbiologa sono di due generi differenti. I primi imputati sarebbero proprio i sali di alluminio e di zirconio: queste due polveri di metallo, utilizzate in coppia o singolarmente come antisudoriferi, col tempo potrebbero essere assorbiti dall’organismo, attaccare le ghiandole mammarie e danneggiare il Dna e la sua capacità di autoripararsi attraverso i geni Brca1 e Brca2. Le sostanze chimiche corresponsabili dell’insorgenza del cancro alla mammella sarebbero, invece, i parabeni, comunissimi conservanti presenti in quasi tutti i cosmetici, ma anche in molti alimenti, nei farmaci e in un gran numero di beni di largo consumo. Secondo la dottoressa Darbre, che li ha studiati per molto tempo, questi additivi chimici si comportano come gli estrogeni, gli ormoni femminili che le donne producono naturalmente dalla pubertà fino alla menopausa, e, assunti in grandi quantità, potrebbero facilitare la riproduzione delle cellule tumorali.

LE RICERCHE ITALIANE

Non solo. Qualche anno più tardi anche nel nostro paese l’argomento ha iniziato a suscitare interesse. Ferdinando Mannello, responsabile dell’Unità di Biologia cellulare della Sezione di Biochimica clinica, presso il Dipartimento di scienze biomolecolari dell’Università Carlo Bo di Urbino – partendo proprio dagli studi inglesi – ha verificato la presenza di alluminio nel tessuto del seno normale, nel tessuto neoplastico e nel tessuto con patologie benigne. Per patologie benigne si intendono soprattutto le cisti mammarie, frequenti lesioni che compaiono quando i dotti della ghiandola mammaria vengono chiusi per accumuli di cheratina o per l’effetto di alcune sostanze come gli antitraspiranti. Con quali risultati?

Spiega il biologo: “In una delle nostre ricerche abbiamo aspirato e analizzato il liquido delle grosse cisti mammarie per verificarne il contenuto. Abbiamo scoperto che mentre le cisti non recidivanti, cioè capaci di regredire spontaneamente dopo l’aspirazione, contengono basse quantità di alluminio, le cisti a più alto rischio di evoluzione neoplastica, oltre ad avere un profilo biochimico e molecolare diverso, contengono una concentrazione di alluminio significativamente più elevata, da 5 a 10 volte più alta”. Una correlazione confermata da altre ricerche – le ultime risalenti ai primi mesi di quest’anno che sono, però, in attesa di essere pubblicate – nelle quali gli studiosi hanno ribadito il meccanismo di azione dei sali di alluminio che si accumulano nel tessuto mammario creando alterazioni e predisponendo il seno a formazioni pre-neoplastiche.

“NESSUNA PROVA”

C’è da dire che Cosmetica Italia ha da sempre rigettato le conclusioni cui sono giunte queste ricerche. Spiega a il Test Stefano Dorato, Responsabile Relazioni Scientifiche dell’associazione: “Si tratta di studi clinicamente insufficienti e scarsamente persuasivi quanto ad indagine scientifica approfondita. La necessaria correlazione causa-effetto è priva di un supporto convincente e soprattutto non equivocabile, vista la completa mancanza di evidenze epidemiologiche. A garantire l’assenza di rischi per il consumatore sono innanzitutto tre strumenti: le disposizioni di legge, i test eseguiti su base volontaria dalle industrie cosmetiche e le operazioni di sorveglianza. Inoltre, numerosi studi a livello internazionale – presi in considerazione, tra gli altri, dall’Airc e dal Comitato Scientifico per la sicurezza del consumatore della Commissione europea – hanno escluso relazioni significative tra l’uso di prodotti antitraspiranti nel cavo ascellare e il tumore al seno. Anche i più affermati oncologi hanno sottolineato la mancanza di evidenze scientifiche o cliniche che colleghino l’uso degli antitraspiranti con il tumore al seno. Le conclusioni che sembrerebbero sostenere una presunta pericolosità suonano piuttosto affrettate, moderatamente ardite e opinionistiche. L’allarmismo, anche quando senz’altro involontario, non è mai foriero di benefici per il consumatore”.