I noduli alla tiroide colpiscono tra il 30% e il 40% degli adulti e ogni anno sono causa di oltre 40mila interventi chirurgici. Ma nella maggior parte dei casi, dicono gli esperti, si tratta di operazioni inutili quando non dannose. Questi dati arrivano dal settimo appuntamento di “ThyroidUpToDate”, organizzato dall’Associazione medici endocrinologici (Ame), che si è svolto a Roma il 4 e il 5 ottobre. Rinaldo Guglielmi, direttore della Struttura Complessa Endocrinologia e malattie del metabolismo dell’Ospedale Regina Apostolorum di Albano Laziale, spiega all’Ansa: “La maggior parte degli interventi potrebbe essere evitata. Possiamo dire che oggi assistiamo ad un eccesso di interventismo chirurgico, che a volte può risultare addirittura dannoso se non effettuato in centri ad alto flusso, ovvero specializzati nella diagnosi e nel conseguente trattamento”. Enrico Papini, coordinatore scientifico di Ame aggiunge: “Nel caso di diagnosi di nodulo alla tiroide, è importante non allarmarsi: in circa il 95% dei casi è benigno. Percentuale che scende al 75% se consideriamo il numero di operazioni chirurgiche per patologia benigna. Esistono poi caratteri ecografici che ci aiutano a capire molto presto quando il nodulo può non essere benigno, e che dunque servono approfondimenti”.
“Molto spesso – continua Guglielmi – nel corso di un intervento è necessario asportare la ghiandola nella sua interezza, ma non è sempre così. Ci sono casi di carcinoma della tiroide che non richiedono l’asportazione totale della ghiandola. In alcune condizioni non esistono caratteristiche specifiche di allarme, e quindi il rischio di una recidiva può essere basso. In questi casi basta asportare solo una parte.Questa prassi riduce i rischi dell’intervento chirurgico e migliora la qualità della vita”.
Intanto per ridurre il rischio delle malattie alla tiroide, ci sono degli alimenti migliori di altri per la dieta, come spiega Daniela Molina, nell’articolo che riportiamo di seguito, pubblicato sul Salvagente di settembre.
Poco sale ma iodato
Poco sale, ma iodato, nella dieta quotidiana è l’indicazione per la salute della nostra tiroide (e non solo), tanto è vero che la legge 55 del 2005 prevede la vendita obbligatoria del sale iodato in tutti i negozi nonché il suo utilizzo nella ristorazione collettiva e nell’industria alimentare. Proprio con questa decisione è stato di fatto attivato il programma nazionale di iodoprofilassi nel nostro paese, ovvero un programma di prevenzione finalizzato a contrastare le patologie causate dalla carenza nutrizionale di iodio. Inoltre, nel 2009 è stato istituito presso l’Istituto superiore di sanità l’Osservatorio nazionale per il monitoraggio della iodoprofilassi in Italia (Osnami), la struttura epidemiologica che sorveglia su scala nazionale il programma di iodoprofilassi. E il Piano nazionale della prevenzione 2014-2018, esteso anche al 2019, ha incluso la “riduzione dei disordini da carenza iodica” tra gli obiettivi di interesse strategico per il paese. Questo perché – come ci spiega la dottoressa Antonella Olivieri, responsabile scientifico dell’Osnami – le conseguenze della carenza nutrizionale di iodio si traducono in patologie molto frequenti (che coinvolgono circa il 10% della popolazione) con un impatto in termini di costi socio-sanitari. “Sebbene – aggiunge – il gozzo e le sue complicanze nodulari rappresentino il più frequente effetto di questa carenza nutrizionale, in realtà le conseguenze più gravi sono rappresentate dai disturbi neurologici derivanti da un’esposizione fetale e neonatale all’insufficiente apporto di iodio. È evidente quindi che l’attuazione di un programma di prevenzione su scala nazionale che prevede una metodologia semplice come quella dell’utilizzo del sale iodato, ha una valenza strategica in termini di salute pubblica e di risparmio economico per il paese”.
Non sembri un nonsenso in un’epoca in cui arrivano continuamente richiami a moderare il consumo di sale. Rassicura la Olivieri: “È importante ricordare che la prevenzione dei disordini da carenza iodica attraverso l’utilizzo di sale iodato non è in contrapposizione con la prevenzione delle patologie cardiovascolari, che prevede la riduzione del sale in genere. I due programmi di prevenzione possono coesistere e supportarsi l’un l’altro, basta usare poco sale ma iodato”.
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L’Osnami ha il compito di valutare periodicamente l’efficienza e l’efficacia della iodoprofilassi in Italia. Che significa, per l’efficienza, valutare quanto iodio arriva alla popolazione basandosi sull’analisi di indicatori specifici quali le vendite di sale iodato, il contenuto di iodio nelle confezioni di sale in commercio, il contenuto di iodio nelle urine (iodurie) di campioni rappresentativi della popolazione. Valutare l’efficacia della iodoprofilassi significa invece valutarne la capacità di ridurre le patologie correlate alla carenza nutrizionale di iodio. Lo si fa attraverso l’analisi dell’andamento nel tempo dei valori di Tsh neonatale, dell’incidenza dell’ipotiroidismo congenito a livello nazionale e della prevalenza di gozzo in campioni della popolazione in età scolare. Un’altra attività che svolge l’Osnami è la “iodoprofilassi per le scuole”, rivolta a tutte le scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado italiane. Un progetto realizzato grazie a un protocollo d’intesa siglato da Miur, Iss, Società scientifiche (Ait, Ame, Sie, Siedp) e associazioni di pazienti (Cape). Numerose scuole in tutte le regioni italiane vi hanno aderito.