
L’indagine dell’Ong conferma la diffusione dell’“inquinante eterno” anche nell’acqua minerale in bottiglia. Ferrarelle e San Benedetto uniche esenti dalla sostanza della famiglia dei Pfas. La risposta di Mineracqua
Dopo il dossier “Chiare, fresche e contaminate”, pubblicato da Il Salvagente in aprile e dedicato alla presenza di Pfas e pesticidi nelle acque minerali europee, una nuova ricerca di Greenpeace Italia riporta l’attenzione sul tema della contaminazione chimica delle sorgenti italiane.
Questa volta sotto la lente finisce il Tfa (acido trifluoroacetico), una molecola appartenente alla famiglia dei Pfas e considerata uno degli inquinanti più persistenti e diffusi al mondo. L’associazione ambientalista ha acquistato, nei mesi scorsi, otto marchi di acqua minerale tra i più diffusi in Italia – Ferrarelle, Levissima, Panna, Rocchetta, San Benedetto, San Pellegrino, Sant’Anna e Uliveto – per verificarne la presenza di Pfas, compreso il Tfa.
Sei marche contaminate, due pulite
Ogni bottiglia è stata analizzata in doppio da due laboratori. I risultati mostrano un quadro preoccupante: in 6 bottiglie su 8 è stata riscontrata la presenza di acido trifluoroacetico (Tfa), mentre Ferrarelle e San Benedetto Naturale sono risultate al di sotto del limite di rilevabilità di 50 nanogrammi per litro.
Le marche dove il Tfa è stato invece trovato sono Levissima, Panna, Rocchetta, San Pellegrino, Sant’Anna e Uliveto.
Greenpeace Italia ha contattato le aziende coinvolte per un commento, ma – spiega l’associazione – “nessuna ha voluto rispondere”.
I valori più alti in Panna, Levissima e Sant’Anna
Il campione con la concentrazione più elevata è risultato quello di Acqua Panna, con 700 nanogrammi per litro di Tfa, seguito da Levissima (570 ng/l) e Sant’Anna (440 ng/l).
Gli altri campioni positivi presentano concentrazioni comprese tra 70 e 400 ng/l, in linea – seppur leggermente inferiori – con i valori riscontrati in altre indagini condotte in Europa (tra 370 e 3.300 ng/l).
Luisiana Gaita che per il Fatto Quotidiano ha anticipato la ricerca, riporta anche le dichiarazioni di Alessandro Giannì, responsabile delle Relazioni Istituzionali e Scientifiche di Greenpeace Italia, che spiega: “questi dati confermano la capacità di diffusione del Tfa, una molecola praticamente indistruttibile e in grado di contaminare anche ambienti remoti”.
Nessun limite di legge per il Tfa
Sebbene studi scientifici sulla presenza di Tfa nell’ambiente risalgano già agli anni Novanta, solo negli ultimi anni la comunità scientifica e le autorità di controllo ne stanno valutando la reale pericolosità.
Ad oggi, non esistono limiti legali specifici per la presenza di Tfa né nelle acque minerali né nelle potabili. Anche a livello europeo, il composto non è incluso nella lista dei 20 Pfas regolamentati dalla direttiva Ue sull’acqua potabile, che in Italia entrerà in vigore nel 2026.
Nei campioni analizzati da Greenpeace non sono state rilevate altre sostanze appartenenti ai gruppi Pfas-4 (Pfna, Pfos, Pfoa, PFHxS), già classificate dall’Efsa come tossiche o cancerogene. Tuttavia, la sola presenza di Tfa rappresenta un segnale d’allarme, data la persistenza e mobilità estrema di questa molecola nell’ambiente.
Un problema che parte dall’aria
Il Tfa, spiegano i ricercatori, è un sottoprodotto di processi industriali e della degradazione di alcune sostanze fluorurate usate nei gas refrigeranti, nei pesticidi e nei prodotti farmaceutici. La sua alta solubilità lo rende capace di raggiungere le falde e le sorgenti d’acqua anche a grande distanza dai luoghi di emissione.
È lo stesso inquinante che Il Salvagente aveva documentato nel dossier europeo di aprile, “Chiare, fresche e contaminate”, dove campioni di acque minerali provenienti da Germania, Francia e Spagna mostravano valori analoghi.
L’allarme di Greenpeace
“Serve un’azione politica urgente – chiede Greenpeace – per monitorare e ridurre la diffusione del Tfa e degli altri Pfas nell’ambiente. L’Italia non può aspettare il 2026 per introdurre controlli sistematici e limiti di sicurezza.”
L’associazione ricorda che il Tfa è già stato rinvenuto in piogge, fiumi, laghi e acque sotterranee in molte aree del mondo, e che la sua rimozione dai sistemi idrici è praticamente impossibile con le tecnologie di trattamento attuali.
Una contaminazione invisibile ma pervasiva
L’indagine di Greenpeace aggiunge un nuovo tassello a un quadro ormai evidente: anche le acque più “pure” possono nascondere tracce di contaminanti invisibili.
Come già aveva denunciato Il Salvagente, “la trasparenza di un’acqua minerale non è garanzia della sua purezza”, soprattutto quando si tratta di sostanze chimiche persistenti come i Pfas.
La replica dell’associazione di categoria Mineracqua
Il 14 febbraio Mineracqua ha diffuso una nota stampa sull’indagine di Greenpeace Italia relativa alla presenza di TFA e PFAS nelle acque mineral. La riportiamo per intero.
In merito all’indagine pubblicata da Greenpeace sulla presenza di TFA e PFAS nelle acque minerali, Mineracqua – la Federazione Italiana delle Industrie delle Acque Minerali Naturali – ritiene opportuno fornire alcuni elementi alla luce dei toni allarmistici che hanno accompagnato la diffusione dell’indagine e che non trovano una giustificazione nei risultati riscontrati.
Innanzitutto, come emerge dall’indagine di Greenpeace i PFAS non sono stati riscontrati nelle acque minerali italiane analizzate. Quanto al TFA (Acido Trifluoroacetico), composto ampiamente diffuso nell’ambiente derivante da molteplici fonti industriali (pesticidi, fluidi refrigeranti, sistemi di trattamento delle acque reflue, ecc…) e non riconducibile a specifiche attività legate all’imbottigliamento delle acque minerali, tutti i test condotti fino ad oggi su scala europea, comprese le analisi di autocontrollo delle aziende, indicano che le concentrazioni di TFA nelle acque minerali sono estremamente basse e non correlate a rischi per la salute. Il laboratorio indipendente tedesco Fresenius, su incarico di Mineracqua, ha approfondito l’eventuale presenza di TFA nelle acque minerali italiane attraverso una campagna analitica che ha evidenziato tracce altamente al di sotto rispetto ai limiti attualmente previsti per le acque potabili.
Il Governo italiano, riconoscendo la rilevanza dell’inquinamento da TFA, ne ha recentemente introdotto un limite per le sole acque potabili, fissandolo a 10 µg/l (microgrammi per litro), a partire dal 2027. Se confrontate con questo limite – l’unico attualmente esistente poiché ad oggi per le acque minerali non esiste a livello europeo un limite di legge – le acque minerali analizzate da Greenpeace hanno riscontrato tracce di TFA enormemente inferiori. Infatti, l’acqua minerale con il valore più alto di TFA è pari a 0,7 µg/l, circa quindici volte inferiore al limite fissato per le acque potabili.
A livello europeo, non esiste ancora una metodologia di analisi standardizzata per la determinazione del TFA, tanto è vero che le analisi eseguite per conto di Greenpeace da due laboratori – uno italiano e uno tedesco – sulla stessa acqua minerale hanno dato risultati estremamente diversi (in un caso rispettivamente 0,1 µg/l e 0,7 µg/l). Questa enorme discrepanza di valori sulla stessa acqua non contribuisce certo a conferire credibilità scientifica all’indagine di Greenpeace e, di conseguenza, non ne giustifica i toni allarmistici che vanno a discredito del settore delle acque minerali.
Mineracqua conferma l’impegno costante del comparto nella tutela della sicurezza e della qualità delle acque minerali naturali, che continuano a rappresentare un prodotto sicuro, controllato e conforme a tutti i requisiti previsti dalla normativa nazionale ed europea.








