Export tossico: il business europeo dei pesticidi vietati

PESTICIDI VIETATI

Un’inchiesta Unearthed e Public Eye rivela che l’Ue ha raddoppiato l’export di pesticidi vietati: 122mila tonnellate nel 2024. L’Italia è sesta con 7mila tonnellate. Tra le aziende coinvolte Finchimica, Tris, Corteva e Sipcam

Nonostante le promesse della Commissione Europea, l’esportazione dall’Ue di pesticidi vietati perché dannosi per la salute e per l’ambiente è in forte crescita. A rivelarlo è una nuova indagine di Unearthed e Public Eye, che porta alla luce numeri impressionanti: nel 2024 l’Europa ha notificato l’intenzione di esportare circa 122.000 tonnellate di prodotti contenenti 75 sostanze vietate nei propri campi agricoli. Non è la prima volta che viene denunciato un doppiopesisimo del genere della Comunità europea, ma l’entità fa davvero riflettere: l’export è più del doppio rispetto al 2018, primo anno con dati completi.

I numeri del commercio tossico

La pratica si fonda su una falla normativa: quando una sostanza viene bandita nell’Ue, le aziende restano libere di produrla ed esportarla verso Paesi terzi. Un assurdo normativo che, oltretutto, rende assolutamente logico l’effetto boomerang, ossia il fatto che frutta e verdura che importiamo in Europa siano contaminati dalle stesse sostanze. 
Tra i principi attivi più esportati figurano:

  • 1,3-dicloropropene, fumigante vietato dal 2007 per i rischi alle falde acquifere e alla fauna, con oltre 21.000 tonnellate notificate.

  • Glufosinate, erbicida della tedesca BASF vietato dal 2018 perché tossico per la riproduzione, con 20.000 tonnellate destinate a 26 Paesi.

  • Mancozeb, fungicida vietato nel 2020 per i rischi endocrini e riproduttivi.

    sponsor
  • Neonicotinoidi come thiamethoxam e clothianidin, banditi in Europa perché letali per le api ma ancora esportati in grandi quantità.

  • Clorpirifos, insetticida organofosfato vietato nel 2020 per il legame con gravi danni neurologici nei bambini.

La geografia delle esportazioni mostra un quadro inquietante: il 58% delle spedizioni ha come destinazione paesi a basso o medio reddito, dove mancano controlli adeguati e le conseguenze sanitarie e ambientali possono essere devastanti. Il Brasile, ricco di biodiversità, risulta il principale importatore.

L’Italia tra i grandi esportatori

Il dossier mette in evidenza anche il ruolo del nostro paese: nel 2024 l’Italia ha notificato l’esportazione di quasi 7.000 tonnellate di pesticidi vietati, diventando il sesto esportatore europeo.
Le sostanze più presenti sono state:

  • Trifluralin: erbicida vietato da quasi vent’anni perché tossico per pesci e fauna acquatica, sospettato cancerogeno e altamente persistente nell’ambiente. L’azienda Finchimica ne ha notificato oltre 4.000 tonnellate verso Australia, Stati Uniti, Canada, Giappone e Cile.

  • Ethalfuralin, “parente” chimico del trifluralin, con 1.300 tonnellate esportate soprattutto verso Usa e Canada.

  • 1,3-dicloropropene e cloropicrina, spediti verso il Marocco da Tris International.

  • Mancozeb (92 tonnellate) da parte della multinazionale Corteva.

  • Clorotalonil (105 tonnellate) notificato da Sipcam Oxon, sostanza vietata dal 2019 per la contaminazione delle falde, oggi al centro di uno scandalo in Francia per la presenza nelle acque potabili.

In totale, sei aziende italiane risultano coinvolte nell’export di pesticidi vietati:

  • Finchimica → circa 4.000 tonnellate di trifluralin e 1.300 tonnellate di ethalfluralin;

  • Tris International → oltre 600 tonnellate di fumiganti a base di 1,3-dicloropropene e cloropicrina verso il Marocco;

  • Corteva → 92 tonnellate di fungicidi contenenti mancozeb;

  • Sipcam Oxon → 105 tonnellate di fungicidi contenenti clorotalonil;

Le promesse mancate di Bruxelles

Già nel 2018, dopo la prima inchiesta sul tema, la Commissione Europea si era impegnata a “dare il buon esempio” e fermare l’export delle sostanze vietate. Francia e Belgio hanno adottato leggi nazionali, ma senza un divieto europeo l’impatto rimane limitato.
Nonostante consultazioni e studi avviati nel 2023, nessuna proposta legislativa concreta è stata presentata a oggi. Nel frattempo, i volumi esportati sono più che raddoppiati rispetto a sei anni fa.

Un doppio standard inaccettabile

L’inchiesta documenta come l’Europa applichi standard di tutela diversi per sé e per il resto del mondo, con un effetto devastante soprattutto nei Paesi più poveri.
Come denuncia Kara MacKay del gruppo sudafricano Women on Farms Project: “È un doppio standard palese, che rivela un pensiero razzista e coloniale. La salute delle popolazioni del Sud globale viene considerata meno importante. Noi ci ammaliamo per questo sistema, e siamo stanchi”.