Il paese iberico, da anni orto d’Europa, rischia di trasformarsi in un deserto, soprattutto a causa del sistema di coltivazione super-intensiva alla base di molti prodotti, dalle fragole all’olio
Come ogni anno, con l’arrivo del caldo scatta l’allarme siccità. Intere Regioni d’Italia, già da settimane, sono a secco e a soffrire è soprattutto l’agricoltura. Come abbiamo raccontato nell’approfondimento sul numero di luglio, già da metà giugno gli agricoltori siciliani delle basse Madonie, da dove provengono alcuni tra i migliori grani duri, stanno protestando perché non hanno potuto neanche iniziare la trebbiatura. Qualche giorno fa il presidente della Coldiretti Basilicata ha inviato una lettera ai governatori di Basilicata e Puglia per denunciare la situazione allarmante delle colture e la tensione sempre più alta tra gli imprenditori agricoli. Ogni giorno arrivano notizie di fiumi e laghi che si prosciugano, anche al Nord.
Ma se noi siamo messi male, come raccontiamo nell’articolo pubblicato nel numero di luglio, c’è chi sta decisamente peggio: la Spagna, ad esempio, è il paese europeo più colpito dal fenomeno della siccità e per questo, secondo le Nazioni Unite, il 75% del territorio nazionale è a rischio desertificazione. Negli ultimi anni, le ripetute siccità e il sovrasfruttamento industriale e agricolo fanno temere un’irreversibile progressione di “terre sterili”, capaci di trasformare l’“orto d’Europa” in un territorio inospitale.
L’esempio eclatante di questo fenomeno è la provincia di Almeria, in Andalusia, che negli ultimi vent’anni ha sviluppato un modello di coltivazione super-intensivo che sta aggravando il problema “esaurendo le falde acquifere”. In questa zona c’è il parco nazionale di Doñana, che si trova in cima a una riserva idrica sotterranea di 2.700 km quadrati, una delle più grandi e antiche d’Europa. Oltre che per l’enorme biodiversità e per le bellissime lagune, il parco è famoso per la produzione intensiva di fragole che sta contribuendo a prosciugare le paludi. La provincia di Huelva, dove si trova il parco, produce il 98% dei frutti rossi spagnoli e il 30% di quelli dell’Ue; è il più grande esportatore di fragole al mondo.
La zona è diventata teatro di scontro politico da quando, a marzo 2023, il governo regionale ha approvato una legge che ha legalizzato l’occupazione informale dei terreni per la coltivazione intensiva delle fragole, suscitando accese polemiche da parte degli scienziati ambientali, secondo cui il fabbisogno idrico di queste coltivazioni contribuirà a prosciugare questa riserva naturale. Le associazioni ambientaliste invocano un cambio di modello, con una riduzione delle superfici irrigate e l’utilizzo di colture a minore intensità idrica.
“Il modello super-intensivo nasce una ventina di anni fa per due ragioni fondamentali – ci ha spiegato Alberto Grimelli, direttore del portale Teatro Naturale – Aumentare la produttività e ridurre i costi attraverso la meccanizzazione. Questo modello è utilizzato in Spagna, Portogallo, Nord Africa e in California e prevalentemente i problemi riguardano il fatto che il sistema è di derivazione frutticola e richiede tanti input, non solo di acqua, ma anche di concimi e presidi fitosanitari. Inoltre, stiamo creando un modello molto verticale che danneggia la biodiversità”.
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Prosegue Grimelli: “Se prendiamo, ad esempio, gli ulivi, dove questo sistema viene applicato da una quindicina d’anni, allo stato attuale ci sono non più di una decina di varietà che si adattano al modello contro le 1.400 varietà censite. Quando è nato questo sistema aveva una densità di impianto tra 1.200 e 1.500 piante ad ettaro, ovvero 3-4 volte quella di un impianto intensivo normale; oggi siamo arrivati al modello smart tree che prevede 3.000 piante per ettaro. E ricordiamoci che la Spagna, lasciando perdere gli ultimi due anni che sono stati segnati dalla siccità, ha una produzione media di un milione e 400mila tonnellate di olio contro la nostra produzione media di 300mila tonnellate”.
Rispetto a chi propone di boicottare le fragole o l’olio spagnoli, Grimelli non concorda: “Non servono sistemi di boicottaggio che, in generale, mi fanno sorridere perché non risolvono i problemi di un sistema complesso, che ha bisogno che l’Europa ragioni in termini di Unione e non di dumping interno tra gli Stati. Il tema va affrontato con più azioni di politica agricola e, magari, meno misure ambientali; serve un programma strategico di lungo periodo, che metta in atto un diverso sistema di incentivi e preveda un ritorno dell’agricoltura in territori più marginali, che negli anni sono stati abbandonati. Ma si tratta di misure che, purtroppo, attualmente non si prendono minimamente in considerazione”.