Secondo Ivano Vacondio presidente di Italmopa l’associazione mugnai la farina è “100% made in Italy a prescindere dall’origine del grano”, che invece in gran parte viene importato dall’estero. Dura la replica della Coldiretti: “Sono queste furbizie che distruggono il vero made in Italy dal campo alla tavola: il trucco di Italmopa non inganna i consumatori italiani”.
Grano estero, farina tricolore?
Ieri il presidente dell’Associazione industriali mugnai d’Italia aveva dichiarato: ““Non ci stancheremo mai di ripetere che le nostre farine sono da considerarsi al 100% made in Italy. Esse sono il frutto dell’impareggiabile capacità dei nostri mugnai nel saper individuare e miscelare le migliori e più preziose varietà di frumento tenero, per la produzione di un’ampia varietà di farine di frumento, tutte accomunate da eccellenti qualità nutrizionali e salutistiche, destinate alla produzione di pane, di pizza o di prodotti dolciari. E questo a prescindere dall’origine della materia prima frumento”.
Peccato che poco prima avesse precisato: “Il nostro paese si trova nell’obbligo di importare circa il 60% del proprio fabbisogno nel comparto del frumento tenero e circa il 40% nel comparto del frumento duro“. Come si fa dunque ad ottenere dal grano estero farina tricolore?
“Il trucco dei mugnai non incanta”
Secca la replica della Coldiretti: “Il trucco dei mugnai di Italmopa non inganna i consumatori che sanno bene che da un grano straniero non si puo’ certo ottenere il miracolo della farina italiana. Sono queste furbizie che distruggono il vero Made in Italy dal campo alla tavola, favoriscono le importazioni straniere da spacciare come italiane”.
“Le maggiori importazioni di grano duro – precisa la Coldiretti – arrivano da un paese come il Canada che in preraccolta fa un uso massiccio di glifosato, vietato in Italia. Un malcostume che va fermato con la trasparenza dell’informazione a partire dall’obbligo di indicare in etichetta la provenienza del grano utilizzato nella produzione di pasta accelerando l’iter dello schema di decreto condiviso dai ministri delle Politiche agricole Maurizio Martina e dello Sviluppo economico Carlo Calenda, inviato ormai da tempo per l’esame preliminare alla Commissione Europea a Bruxelles”.
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