Le nanoplastiche, residui della degradazione della plastica possono invadere anche le cellule umane che compongono le ossa. A dirlo è uno studio guidato dall’Università di Milano e pubblicato sulla rivista Journal of Hazardous Materials, al quale ha collaborato anche l’Università di Parma.
Le nanoplastiche, residui della degradazione della plastica possono invadere anche le cellule umane che compongono le ossa. A dirlo è uno studio guidato dall’Università di Milano e pubblicato sulla rivista Journal of Hazardous Materials, al quale ha collaborato anche l’Università di Parma. Come scrive Ansa che riporta la notizia, la ricerca ha scoperto che le nanoplastiche possono alterare il normale funzionamento di queste cellule, e dunque potrebbero aumentare le probabilità di sviluppare patologie legate all’impoverimento osseo.
Lo studio
“Ad oggi esistono pochi studi sugli effetti indotti dall’esposizione alle nanoplastiche – commenta Lavinia Casati, che ha coordinato il gruppo guidato da Domenica Giannandrea – Proprio da questo nasce la nostra ricerca, che ci ha permesso di descrivere l’azione di questi contaminanti sull’osso”. I ricercatori, infatti, hanno analizzato le tre principali tipologie di cellule che sono coinvolte nel mantenimento delle ossa: i precursori degli osteoblasti, specializzati nella produzione di tessuto osseo, gli osteociti, considerati i controllori del processo di rimodellamento delle ossa, e i precursori degli osteoclasti, ovvero le cellule che invece degradano il tessuto osseo.
Le nanoplastiche riducono la vitalità delle cellule
 Gli autori dello studio hanno esposto queste cellule a delle nanoplastiche fluorescenti, caratteristica che ha permesso di seguirne facilmente gli spostamenti. Hanno così scoperto che non solo queste particelle sono in grado di entrare nelle cellule, ma anche che ne modificano il comportamento. Ad esempio, le nanoplastiche riducono la vitalità delle cellule, ne aumentano la morte e inducono la formazione di radicali liberi. Inoltre, potenziano l’attività degli osteoclasti, che distruggono l’osso, e innescano processi infiammatori. “Saranno necessari ulteriori studi – conclude Casati – ma questo è il primo che ci permette di iniziare ad esplorare nuovi orizzonti inerenti ai contaminanti ambientali e al loro impatto sull’uomo”.