Come voterà il nostro paese sul via libera al glifosato in Europa? “Siamo in attesa di pareri tecnici”, “Sono decisioni da condividere all’interno del governo”, ci hanno risposto da Ambiente, Salute e Sovranità alimentare. Ma a chi difende in ogni luogo il made in Italy chiediamo: l’erbicida tanto inviso nel grano canadese è un interesse nazionale?
Facile prendersela con l’Europa matrigna. Si occupa delle etichette a semaforo invece che dei problemi reali dei cittadini come l’emigrazione, ci consegna alla Cina in nome di un’inesistente transizione ecologica per le auto, penalizza la nostra agricoltura imponendo (inaudito!) una diminuzione dei pesticidi e dei fertilizzanti. Ci farà addirittura arrivare nei piatti grilli e cavallette invece delle nostre amate chianine.
Non è un seppur sintetico condensato degli strali lanciati dalle destre italiane ed europee in un clima che già appare di rovente campagna elettorale per le prossime elezioni europee di giugno 2024. È un refrain che sentiamo da mesi e che, come spiega Silvia Perdichizzi nel servizio di questo numero, sta rapidamente portando all’abbandono del Farm to Fork, il percorso che avrebbe dovuto rendere più sostenibili allevamenti e agricoltura Ue.
A Bruxelles hanno a cuore tutto tranne il made in Italy è il coro che ripetono ossessivamente tanto le associazioni di agricoltori che i “loro” ministri. Peccato che quando gli interessi italiani tocchino punti nevralgici per tutti sia impossibile ottenere una risposta che vada al di là degli slogan. Noi del Salvagente, per esempio, abbiamo provato a chiedere ai ministeri di Agricoltura, Salute e Ambiente come voterà il nostro paese sull’ipotesi – sempre più probabile a quanto trapela – di un via libera di 10 anni del glifosato sulle terre comunitarie. “Siamo in attesa di pareri tecnici”, ci hanno detto alcuni, “sono decisioni da condividere all’interno del governo”, hanno tagliato lapidariamente altri.
E non è che da Coldiretti, Cia e Confagricoltura si sia levata una voce stentorea sull’uso di questo erbicida probabilmente cancerogeno che più di un milione di europei chiedono a gran voce di bandire da oltre cinque anni. Passata la sbornia del “dagli al canadese!”, quando l’erbicida era un problema per gli italiani perché presente nel grano proveniente da Ottawa, la bandiera del “no glifosato” degli agricoltori è stata prontamente ammainata. Forse perché sarebbe difficile continuare a sventolarla quando i dati dell’Ispra (uno dei pochi enti scientifici ancora non caduto nella normalizzazione del pensiero unico) dimostrano che la presenza nelle acque italiane non può essere certamente legata a quegli sconsiderati dei nordamericani. A meno di non vedere anche qui una sorta di complotto contro la nostra integrità territoriale.
In questi anni, da quando il Green deal, ossia il sogno verde di rendere più sostenibile l’Europa, è diventato un obiettivo proclamato dall’Ue abbiamo raccontato l’enorme pressione delle lobby per annacquarlo, sottrarre punti qualificanti, conservare le rendite di posizione, specie quelle dei milioni spesi dalla Politica agricola comune per finanziare l’agricoltura convenzionale e gli allevamenti intensivi. Non si trattava, come non si tratta oggi, di una manina esterna ma di portatori di interessi tricolori che, sembrerà assurdo, ma alla fine fanno il gioco delle grandi multinazionali, queste sì, straniere. In parole povere, come sintetizza bene Carlo Petrini, fondatore di Slow food, di chi produce semi e input chimici per il terreno. Un gioco che di certo non va a vantaggio degli agricoltori italiani, né tantomeno della nostra sovranità alimentare a cui abbiamo addirittura dedicato il nome (come bastasse) del dicastero del ministro Francesco Lollobrigida.
Difficile capire quanto possano essere strategici per i nostri interessi i nuovi Ogm o altri 10 anni di glifosato. Ma tant’è, a forza di dipingerla come matrigna, la nuova Europa rischia davvero di vestire i panni della regina Grimilde di Biancaneve.