L’Ue ha varato la direttiva sul salario minimo, ma i paesi saranno liberi di approvare le loro leggi, entro 2 anni. Il dibattito in Italia divide: la Cgil, favorevole, scende in piazza. Confindustria è contraria. E il prossimo governo erediterà il disegno di legge Catalfo che fissa la soglia a 9 euro l’ora. Ecco quanto guadagnerebbe in più un lavoratore.
Nel titolo III della Costituzione italiana, nella parte dedicata ai diritti e doveri dei cittadini, ci sono le radici che stanno finalmente germogliando lungo la strada del salario minimo per i lavoratori.
L’articolo 36 stabilisce che
“il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
Ma va anche oltre: “La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”.
Sono le basi dello Statuto dei Lavoratori approvato con la legge 300 del 1970.
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Ma la strada verso un salario minimo è stata un percorso lungo, faticoso e minato da numerosi ostacoli. Un cammino che oggi porta dritto al cuore dell’Unione europea.
Infatti, nel settembre scorso, mentre in Italia infervorava la campagna elettorale, il Parlamento europeo approvava in via definitiva la nuova legislazione sui salari minimi adeguati nell’Ue. La legge, concordata a giugno con il Consiglio europeo, si pone gli stessi obiettivi che prevedeva la nostra legge fondamentale dello Stato italiano nel lontano dopoguerra, già nel 1948, quando è entrata in vigore la Costituzione italiana.
Le nuove regole europee intendono migliorare le condizioni di vita e di lavoro di tutti i lavoratori degli Stati membri Ue, raggiungendo progressi in ambito economico e sociale. A tal fine, vengono definiti i requisiti essenziali per l’adeguatezza dei salari minimi garantiti, come stabilito dalle leggi nazionali o dai contratti collettivi dei singoli Stati europei. La legge vuole inoltre migliorare l’accesso effettivo dei lavoratori alla tutela garantita dal salario minimo.
La legge europea è tecnicamente una nuova direttiva che dovrà applicarsi a tutti i lavoratori dell’Unione europea con un contratto o un rapporto di lavoro. I paesi Ue in cui il salario minimo gode già di protezione, grazie ai contratti collettivi, non saranno tenuti a introdurre queste norme o a rendere gli accordi già previsti universalmente applicabili.
Dennis Radtke, parlamentare tedesco del Partito Popolare Europeo, dopo il voto favorevole ha fatto notare che “la situazione attuale dimostra ancora una volta che abbiamo bisogno di un partenariato sociale forte e funzionante in Europa. La politica non può dare una risposta esauriente a tutti gli aspetti di questa crisi”.
La socialdemocratica olandese Agnes Jongerius ha ricordato che “i prezzi dei generi alimentari, delle bollette energetiche e degli alloggi stanno esplodendo” e “la gente fa davvero fatica ad arrivare a fine mese”. “Non abbiamo tempo da perdere – ha esortato la deputata – il lavoro deve tornare a pagare. Questa direttiva stabilisce gli standard per un salario minimo adeguato. Allo stesso tempo, stiamo dando un impulso alla contrattazione collettiva, in modo che un maggior numero di lavoratori sia maggiormente tutelato”.
Come si definisce un salario minimo
Il traguardo è ancora lontano e spetterà ora ai paesi europei recepire le nuove regole di Bruxelles. Infatti, la direttiva europea è un atto legislativo che stabilisce un obiettivo che tutti gli Stati membri dell’Ue devono realizzare. Tuttavia, spetta ai singoli Parlamenti definire attraverso disposizioni nazionali come tali obiettivi andranno raggiunti.
Quei paesi che non hanno ancora approvato il salario minimo avranno a disposizione 2 anni di tempo per conformarsi alla direttiva europea.
Nel caso specifico, la definizione del salario minimo rimarrà di competenza dei singoli Stati membri, i quali dovranno però garantire che consenta ai lavoratori una vita dignitosa, tenendo conto del costo della vita, che attualmente è in costante aumento. A fine settembre 2022 l’inflazione in Italia ha raggiunto l’8,9%.
Gli Stati dovranno anche considerare i più ampi livelli di retribuzione. Per quanto riguarda la valutazione dell’adeguatezza dei salari minimi garantiti esistenti, i Paesi Ue potranno determinare un paniere di beni e servizi a prezzi reali, o fissarlo al 60% del salario mediano lordo e al 50% del salario medio lordo.
La direttiva europea promuove la contrattazione collettiva a livello settoriale e interprofessionale. Questo fattore è essenziale al fine di determinare i salari minimi adeguati. I nuovi contratti collettivi dovranno dunque adeguarsi alle nuove regole europee. Significa che gli Stati membri in cui meno dell’80% dei lavoratori è interessato dalla contrattazione collettiva, dovranno – congiuntamente alle parti sociali – stabilire un piano d’azione per aumentare tale percentuale. Questo non è il caso dell’Italia dove i contratti collettivi nazionali coprono oltre l’80% della forza lavoro.
Salario minimo: la situazione in Italia
I salari minimi più alti sono già realtà in paesi europei come Lussemburgo, Irlanda e Germania. Quelli più bassi si registrano in Bulgaria, Lettonia ed Estonia. In ben 21 Paesi sui 27 membri un salario minimo viene già garantito.
Nei restanti 6 paesi il salario minimo ancora non esiste. Tra questi Stati c’è l’Italia, che fa compagnia ad Austria, Cipro, Danimarca, Svezia e Finlandia. In questi Paesi i livelli salariali dipendono dalla contrattazione collettiva delle retribuzioni.
Con il salario minimo quasi 9 miliardi in più
Con l’introduzione di un salario minimo anche in Italia potrebbe cambiare il destino di ben 4,6 milioni di lavoratori italiani non coperti dalla contrattazione collettiva. Questi lavoratori rappresentano il 30% dell’intera forza lavoro italiana e, dai dati dell’Inps emerge che vivono con uno stipendio pari o al di sotto di 1.000 euro al mese.
Lavoratori che riceverebbero in totale 8,4 miliardi di euro in più.
Chi non è non tutelato da alcuna contrattazione collettiva, o comunque è precario, guadagnerebbe 1440 euro per 38 ore settimanali di lavoro. Per chi lavora 40 ore alla settimana lo stipendio mensile salirebbe a 1500 euro.
Questi almeno gli effetti immediati. Ma allo stato attuale il dibattito in Italia è tutt’altro che concluso . Sul tavolo del prossimo esecutivo potrebbe approdare proprio il disegno di legge 658 dell’ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo contenente le disposizioni per l’istituzione del salario minimo orario.
Il testo vuole istituire una paga minima di 9 euro all’ora, al lordo degli oneri contributivi e previdenziali. Una soglia sotto la quale non sarebbe possibile scendere.
Questo progetto ha già diviso la politica in un paese dove il sistema retributivo si basa solo sulla contrattazione collettiva CCNL (Contratto collettivo nazionale del lavoro). Gli oppositori al testo sostengono che questa misura possa aumentare ulteriormente il costo del lavoro a carico delle imprese italiane, generando altra disoccupazione. Uno studio de Il Sole 24 Ore nel 2019, prima della pandemia e dell’attuale crisi, sostenne che con il salario minimo a 9 euro l’ora il costo del lavoro aumenterebbe del 20%.
Altri ritengono che non arresterebbe il ricorso ai contratti atipici e precari, poco tutelanti.
Sindacati divisi
Anche i sindacati italiani sono divisi sul tema del salario minimo. Alcuni sindacalisti difendono la solidità dei contratti collettivi nazionali e temono che un salario minimo garantito possa comportare una riduzione del loro coinvolgimento nelle contrattazioni tra lavoratori e datori di lavoro, a discapito dei lavoratori. E che il cambiamento debba avvenire solo tramite i CCNL.
Non la pensa così la Cgil che sabato 8 ottobre scende in piazza del Popolo a Roma, a un anno di distanza dalla devastazione della sede nazionale del sindacato a opera di gruppi dell’estrema destra. La prossima manifestazione si intitolerà “Italia, Europa, ascoltate il lavoro”. Tra le 10 proposte, il sindacato chiede al governo anche l’introduzione dello stipendio minimo e una legge sulla rappresentanza, il superamento della precarietà, una vera riforma del fisco e un tetto alle bollette.
Prima delle elezioni 2022 dello scorso 25 settembre alcuni politici si sono espressi favorevolmente rispetto all’introduzione di un salario minimo anche in Italia. Tra questi, il segretario del Pd Enrico Letta, l’ex premier e capo 5 stelle Giuseppe Conte e il ministro del lavoro Andrea Orlando.
Confindustria è contraria e sposa lo studio del suo organo d’informazione: Il Sole 24 Ore.
L’esempio di Francia e Germania
La Germania sta alzando l’asticella del salario minimo dal 2015. L’ultimo aumento del salario minimo risale a poco tempo fa, raggiungendo 12 euro lordi l’ora. Anche a Berlino si temeva una spirale negativa, con aumento di licenziamenti e costo del lavoro. Invece l’intervento ha persino spinto la corsa all’occupazione. Forse perché i governi tedeschi hanno approvato una legge che intensifica controlli e prevede pesanti sanzioni di tipo penale a carico di quei datori di lavoro che non rispettano la soglia minima delle 12 euro. Inoltre sono diminuiti i lavoratori con contratti atipici, i cosiddetti miniijobs.
In Francia il salario minimo si adegua automaticamente all’aumento del costo della vita e non ha intaccato per nulla il lavoro dei sindacati che garantiscono ancora oggi la tutela del 90% di lavoratori francesi con contratti collettivi estesi.