C’è vita dopo la scadenza di un cibo? Entro quando si possono consumare? L’approccio verso la scadenza degli alimenti è lo specchio di una società consumistica, abituata allo spreco alimentare. Possiamo invertire la rotta. Ecco come
La lotta contro lo spreco alimentare deve essere un dovere civile. Gli scaffali dei supermercati abbondano di offerte in tal senso. Per loro è un modo come un altro per ottimizzare i profitti. Per noi consumatori è l’occasione ghiotta per risparmiare.
Tra le occasioni offerte dalle catene della grande distribuzione organizzata non mancano i cibi a scadenza imminente. Proprio per questo motivo, passano dal “purgatorio” prima di essere, o definitivamente cestinati, o salvati dai più attenti clienti. Ma qual è la definizione standard di spreco alimentare?
Questo fenomeno rivela un disagio ben più profondo della nostra società consumistica: lo spreco di cibo è dovuto principalmente allo scarto, da parte dei venditori e dei consumatori, di prodotti che non corrispondono a uno standard ideale e appetibile sul mercato. Generalmente devono rispondere a un canone di “bellezza”, dietro il cui fascino e i colori belli vividi, si nasconde una manipolazione non sempre necessaria o sana: coloranti, additivi da evitare, l’uso di fitofarmaci, ormoni e antibiotici, e tanto altro.
In questa cultura dell’apparenza, gioca un ruolo fondamentale anche la scadenza degli alimenti. Tendiamo a scartarli troppo frettolosamente quando si avvicina la data inesorabile della fine, decretata dall’uso di conservanti. Nella società dello spreco, questa paura si è ulteriormente amplificata, fino all’esagerazione, spingendoci a trascurare aspetti ben più importanti, quali, ad esempio, la lettura attenta delle etichette e degli ingredienti dei quali è composto un alimento principalmente elaborato. In fondo, è più facile e veloce dare il colpo d’occhio con una data di scadenza stampata a caratteri cubitali che rendere una etichettatura più semplice, graficamente “appetibile”, ma soprattutto trasparente.
Le buone pratiche antispreco alimentare
Per combattere lo spreco si possono mettere in pratica diverse strategie e cambiare abitudini insane. Grazie alla tecnologia, oggi siamo in grado di rielaborare gli avanzi, interagire attraverso gruppi dedicati e creati sui social network e varie reti sociali, o con le numerose app antispreco scaricabili gratuitamente su smartphone. Le leggi del marketing ci spingono a comprare sempre di più, stimolando bisogni non sempre necessari, così buttiamo cibo che marcisce nei nostri frigoriferi. Tanto per dirne una, buona pratica sarebbe quella di riutilizzare le bucce degli ortaggi, l’olio appena colato dal tonno in scatola, gli avanzi di frutta e pomodori, o lo yogurt in scadenza.
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Il gioco del frigo vuoto
Potremmo intraprendere uno “sport” interessante e per nulla faticoso, ossia allenarsi al “gioco del frigo vuoto”, che consiste nell’appuntarsi sul quaderno o tablet l’elenco di ciò che è contenuto nel frigorifero. Essere consapevoli di ciò che abbiamo in frigo stimola la creatività e spinge ad assemblare gli ingredienti di recupero, per piatti originali e prelibati, affinché nulla vada sprecato, compresi quei prodotti che stanno per scadere e manco ce lo ricordiamo, a causa del troppo cibo accumulato tra le mensole.
Ma sulla scadenza dei cibi come la mettiamo? È sempre necessario buttare via gli alimenti appena scaduti o, addirittura, in preferibile scadenza? Quanta vita c’è dopo la scadenza? Qui la risposta.
L’Italia butta 270 tonnellate di cibo
Sono passati diversi anni ormai da quando Olanda e Svezia, con il sostegno di Austria, Germania, Danimarca e Lussemburgo, chiedevano a Bruxelles l’esenzione dell’obbligo di indicare in etichetta il termine minimo di conservazione “da consumarsi preferibilmente entro” per prodotti come pasta, riso e caffè. L’Efsa ha fatto chiarezza a riguardo. Da quelle battaglie al Parlamento europeo, al netto delle posizione partigiane di alcuni movimenti di categoria e posizioni di potere e di interesse, la realtà è che gli sprechi alimentari sono aumentati considerevolmente, e solo le crisi attuali (pandemia, guerra tra Russia e Ucraina, il granaio d’Europa, ma anche crisi energetica e conseguente aumento dei prezzi) potrebbero invertire la rotta.
Si stima che nel mondo, il 17% di quanto viene coltivato, finisce nella pattumiera. Nel 2021, l’Italia, il Paese che più rappresenta la dieta mediterranea come bibbia di salute e benessere nel mondo, con le sue 270 tonnellate di cibo sprecato è stato il peggior membro europeo negli ultimi venti anni, in tema di spreco alimentare. È chiaro l’impatto economico e ambientale: grandi ettari di terreno coltivabili vengono utilizzati per alimenti che verranno eliminati, scartati e buttati.
Il Centro Comune di Ricerca della Commissione Europea (JRC) ha rivelato che lo spreco non si limita più al consumatore finale (che comunque incide per un buon 68%), ma ricade su tutta la filiera dei prodotti alimentari: raccolta, produzione, lavorazione industriale, ristorazione e mense. Con il pre-consumer waste, lo spreco alimentare avviene prima della vendita, mentre nella fase post-consumer waste si indica lo spreco del consumatore finale. Tonnellate di cibo cotto in più o scartato perché non supera i “concorsi di bellezza” viene cestinato, e se ci va bene almeno conferito nell’umido per convertirsi in compost. Tra questa montagna di cibo ci sono in gran parte prodotti freschi come frutta e verdura, ma anche carne, pesce, cereali, formaggi. L’Italia è stato il primo Paese sprecone dal 2000 al 2017, seguita da Spagna e Germania.
Questi dati sono stati possibili grazie al nuovo metodo di ricerca del JRC che sarà applicato da Eurostat da questa estate 2022, su tutti gli Stati membri dell’Unione europea. Ciascuna nazione europea dovrà comunicare i dati sulla produzione di rifiuti e scarti durante la produzione e nelle altre fasi della filiera come quella del trasporto. Attendiamo, dunque, i dati aggiornati sullo spreco alimentare che saranno utilizzati per fissare gli obiettivi del 2023, da parte della Commissione europea, per arginare e ridurre gli sprechi su indicazione della strategia Farm to Fork (in collaborazione con la Politica Agricola Comune) inserita nel Green Deal, il cammino della transizione verde intrapreso dall’Ue.
Dopo quanto tempo dalla scadenza si possono consumare i cibi?
Esiste un limite tassativo al consumo degli alimenti o è possibile trasgredire anche di qualche giorno? Se lo domandano in tanti e le risposte autorevoli e scientifiche non mancano. Sul magazine della Fondazione Umberto Veronesi ci sono le risposte dettagliate, cibo per cibo. Risponde così il professor Giacinto Miggiano, direttore del Centro Nutrizione Umane dell’Università Cattolica di Roma.
L’esperto spiega: la commestibilità di un alimento, superata la data di scadenza riportata sulla confezione, è essenzialmente correlata alla natura del cibo stesso che ne determina anche la deperibilità più o meno lunga dal momento della produzione a quello in cui viene posto in tavola.
Occorre poi fare una seconda distinzione fra una vera e propria data di scadenza espressa sugli involucri dei prodotti alimentari dalla dicitura ‘da consumarsi entro…’, che indica quindi il termine entro cui la consumazione di quel cibo è assolutamente garantita, quindi senza il rischio che si possano sviluppare cariche batteriche nocive per la salute o che il cibo possa perdere le sue proprietà nutrizionali originarie, a condizione però che la confezione sia stata fino a quel momento integra e che la conservazione dell’alimento sia avvenuta in maniera corretta e nel rispetto delle indicazioni consigliate.
La data di scadenza deve essere obbligatoriamente indicata sulle confezioni dei prodotti alimentari preconfezionati e altamente deperibili quali ad esempio carni e formaggi freschi, latte e latticini freschi, pasta fresca e all’uovo, prodotti ittici.
Esiste poi anche la dicitura ‘da consumarsi preferibilmente’, seguita da una data precisa, riportata sulla confezione degli alimenti che sono conservabili per un periodo inferiore ai 3 mesi. Invece per quelli che possono essere consumati fra i 3 e i 18 mesi è sufficiente indicare sull’involucro mese e anno di scadenza (senza un giorno preciso) e per quelli la cui conservazione è possibile anche oltre i 18 mesi basta precisare solo l’anno.
Vi è poi una terza categoria di prodotti in cui non è obbligatorio indicare sulla confezione il periodo di conservazione: si tratta ad esempio di frutta e verdura fresche (fatta eccezione per quelle già tagliate o sbucciate), vino, aceto, sale e zucchero, pane, pasta di grano duro, riso, focacce, prodotti di pasticceria fresca, bevande alcoliche se la percentuale di alcool non supera il 10%, gomme da masticare e così via. Fatta questa premessa, in linea generale riguardo al consumo, oltre la data di scadenza, dei cibi più facilmente deperibili e di più largo uso si possono seguire alcune indicazioni di massima.
Riportiamo le indicazioni integrali del professor Miggiano.
Yogurt
Può essere consumato fino a 6-7 giorni dopo la data di scadenza seppure perda in parte le proprietà nutritive originarie, mantenendo invece quasi del tutto inalterate quelle organolettiche (ossia le caratteristiche – colore, sapore, odore – e la consistenza o la tessitura).
Latte fresco
Il latte fresco pastorizzato e quello pastorizzato di alta qualità dovrebbero essere consumati entro il sesto giorno successivo a quello del trattamento termico mentre il latte microfiltrato fresco pastorizzato entro il decimo giorno successivo a quello del trattamento termico. Oltrepassate queste scadenze, sarebbe meglio astenersi dal loro consumo per non incorrere nell’eventuale presenza di tossine.
Formaggi stagionati e a pasta dura
Oltrepassata la data di scadenza indicata sulle confezioni, su questi tipi di formaggi potrebbe comparire della muffa. Essa non indica che il prodotto è ormai avariato; rimuovendola accuratamente con un coltello è possibile consumare questi prodotti senza correre alcun rischio.
Formaggi freschi
Rientrano nella categoria dei latticini e per tutta questa serie di prodotti per il loro consumo sarebbe meglio attenersi strettamente alla data di scadenza indicata sulla confezione.
Uova
La deperibilità delle uova è spesso correlata al tipo di cottura. Se sono crude o alla coque dovrebbero essere consumate nei 3 giorni successivi alla data di scadenza, se invece sono fritte si possono consumare al massimo entro una settimana dalla data di scadenza. Oltre questo periodo si potrebbe andare incontro a dei rischi alimentari.
Pesce e piatti surgelati
Se la conservazione di questi alimenti è avvenuta correttamente, possono essere mangiati tranquillamente fino a due mesi dopo la data di scadenza riportata sulla confezione, seppure si possano perdere in parte le proprietà organolettiche. Nel caso di gamberetti surgelati crudi, destinati a ricette che non ne prevedono la cottura, è buona norma rispettare il termine minimo di conservazione per non rischiare una eventuale listeriosi (malattia infettiva). Se invece la ricetta ne prevede la cottura, si può andare tranquillamente oltre il tempo minimo di conservazione.
Pesce in scatola
Il pesce in scatola può essere consumato tranquillamente entro 1 o 2 mesi dalla data di scadenza.
Pasta secca e riso
Di norma questi prodotti hanno una scadenza che varia dai 2 ai 2 anni e 6 mesi. Consumati anche qualche mese dopo il termine indicato sulla confezione non creano alcun tipo di danno o di rischio alla salute.
Biscotti secchi e cracker
Consumati oltre la data di scadenza perderanno molto delle proprietà organolettiche e della consistenza, ma non sono nocivi.
Olio
Gli oli di ottima qualità possono essere consumati fino a 8 mesi dopo la data di scadenza riportata sulla confezione seppure possano subire una eventuale lieve perdita delle qualità organolettiche.
Conserve sottaceto
Si tratta di alimenti che hanno una scadenza variabile da 2 a 3 anni che può essere superata, in sicurezza, anche di un paio di mesi.
Conserve di pomodoro
Durano dai 12 ai 20 mesi e possono essere consumati anche oltre i due mesi dalla data di scadenza.
Salumi affettati
Quelli affettati e confezionati vanno consumati entro la data di scadenza indicata sulla confezione. Oltre il termine vi è il rischio che possano sviluppare delle tossine.
Succhi di frutta
Hanno scadenze variabili dai 6 ai 12 mesi che è consigliabile rispettare.
Panettoni, pandori e colombe
Si tratta di prodotti dolciari con scadenze comprese fra i 4-5 mesi dalla produzione con possibilità di consumo anche oltre due settimane dalla data indicata sulla confezione, seppure la fragranza o la morbidezza possano risultare alterate (ovvero siano meno soffici).
Alimenti senza la data di scadenza
Rientrano in questa categoria diverse tipologie di alimenti, alcuni di essi sono particolarmente resistenti come bevande alcoliche, aceto, sale, zucchero, mentre altri possono deperire molto facilmente (pesce fresco e carne fresca). Questi ultimi devono essere consumati entro tempi piuttosto brevi, ovvero 6 giorni al massimo dalla data di confezionamento indicata sull’etichetta se si tratta di carne (2 giorni al massimo nel caso di fette molto sottili – quali il carpaccio – oppure di carne tritata) e 4-5 giorni dalla cottura per il pesce fresco.