Bruxelles dà 2 mesi di tempo all’Italia e a altri 4 paesi per rispondere adeguatamente all’accusa di aver adottato programmi nazionali di gestione dei rifiuti radioattivi non interamente conformi. E il nostro paese rischia un’altra multa per non aver protetto abbastanza la popolazione dalle radiazioni
Sono passati 45 anni da quando il referendum sul nucleare impose lo smantellamento delle centrali in Italia e diede avvio a un lungo periodo transitorio relativo allo smaltimento dei rifiuti radioattivi. Troppo lungo, però, per la Commissione europea che ha deciso di inviare un parere motivato, il secondo passaggio della procedura d’infrazione, all’Italia (oltre a Croazia, Estonia, Portogallo e Slovenia), per l’adozione di programmi nazionali di gestione dei rifiuti radioattivi non interamente conformi alla direttiva sul combustibile esaurito e sui rifiuti radioattivi.
Il piano di gestione in ritardo
” I rifiuti radioattivi – spiega in un comunicato la Commissione Ue – derivano dalla produzione di energia elettrica in centrali nucleari, ma anche dall’uso di materiali radioattivi per scopi non legati alla produzione di energia elettrica, tra cui scopi medici, di ricerca, industriali e agricoli. Questo significa che tutti gli Stati membri producono rifiuti radioattivi”. La direttiva stabilisce un quadro che impone la gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi, al fine di assicurare un elevato livello di sicurezza ed evitare di imporre oneri indebiti a carico delle generazioni future. In particolare, la direttiva impone agli Stati membri di elaborare e attuare programmi nazionali per la gestione di tutto il combustibile nucleare esaurito e tutti i rifiuti radioattivi che hanno origine nel loro territorio, dalla produzione allo smaltimento.
2 mesi per la risposta
“I programmi nazionali presentati da Croazia, Estonia, Italia, Portogallo e Slovenia sono risultati non conformi a determinati requisiti della direttiva. Gli Stati membri interessati dispongono ora di 2 mesi per rimediare alle carenze individuate dalla Commissione. In assenza di una risposta soddisfacente, la Commissione potrà decidere di deferire i casi alla Corte di giustizia dell’Ue” spiega Bruxelles.
Solo il 35% di smantellamento raggiunto
In Italia, secondo le parole dell’Ad di Sogin (la società incaricata per l’operazione), Emanuele Fontani, lo smantellamento al dicembre 2021, era arrivato al 35,5% dopo 23 anni di attività . Nel 2021, è stata pubblicata la mappa dei siti idonei allo stoccaggio definitivo delle scorie, ma ancora non sono stati identificati quelli che le accoglieranno.
Non conosci il Salvagente? Scarica GRATIS il numero con l'inchiesta sull'olio extravergine cliccando sul pulsante qui in basso e scopri cosa significa avere accesso a un’informazione davvero libera e indipendente
L’altra infrazione sulla radio-esposizione
Nelle stesse ore Commissione ha deciso di inviare all’Italia una lettera di costituzione in mora per mancato rispetto di una sentenza della Corte di giustizia dell’UE. La Corte aveva constatato che l’Italia non aveva recepito la direttiva riveduta sulle norme fondamentali di sicurezza (direttiva 2013/59/Euratom del Consiglio). “La direttiva, che modernizza e consolida la legislazione dell’Ue in materia di radioprotezione – scrive Bruxelles – stabilisce norme fondamentali di sicurezza per proteggere la popolazione, i lavoratori e i pazienti dai pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti e comprende anche disposizioni relative alla preparazione all’emergenza e alla risposta in caso di emergenza, che sono state rafforzate a seguito dell’incidente nucleare di Fukushima”. Gli Stati membri erano tenuti a recepire la direttiva entro il 6 febbraio 2018. Nel gennaio 2021 la Corte ha pronunciato la sentenza nella causa C-744/19, secondo cui l’Italia non aveva recepito la direttiva nel diritto nazionale. Con lettera dell’aprile 2021, la Commissione ha chiesto alle autorità italiane di spiegare quali misure avessero adottato per conformarsi alla sentenza e garantire in tal modo il pieno recepimento della direttiva. La Commissione ha valutato le risposte delle autorità italiane e ha concluso che le misure adottate dall’Italia non costituiscono una piena esecuzione della sentenza. L’Italia dispone ora di 2 mesi per rispondere alla lettera e affrontare le carenze segnalate dalla Commissione, trascorsi i quali la Commissione potrà decidere di deferire nuovamente il caso alla Corte di giustizia dell’Ue e chiedere l’irrogazione di sanzioni pecuniarie.