Il primo arresto dopo l’approvazione della legge sul caporalato arriva nel Lazio, per la precisione a Sabaudia, in provincia di Latina. Il blitz dei carabinieri e degli agenti della Digos, lunedì 24 ottobre, ha portato al fermo di un cittadino indiano accusato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. L’uomo, il 47enne Jit Parm, risulta essere al servizio della cooperativa agricola Centro Lazio di Anzio e di altre aziende che lavorano in zona. Secondo gli inquirenti, l’uomo reclutava la manodopera utilizzando WhatsApp, in modo da rendere meno individuabile il suo ruolo all’esterno.
Dormivano nei terreni di un italiano
L’ordinanza di custodia cautelare richiesta dal Sostituto procuratore Gregorio Capasso, ha anche portato al sequestro preventivo di un appezzamento di terreno, a Sabaudi, di proprietà di un 74enne romano e della sua compagna. Nel terreno si trovavano si trovavano delle baracche dove dormivano un centinaio di braccianti, e l’accusa è quella di favoreggiamento alla permanenza illegale di cittadini irregolari sul territorio italiano. Nell’agro-pontino sono almeno 30mila gli indiani sikh che vivono e lavorano in zona.
La “tassa” per lavorare
Il Procuratore capo De Gasperis, come riporta Latinacorriere.it, ha segnalato che per la prima volta, da quando ha assunto la direzione della Procura di Latina, si è creato un varco nel muro dell’omertà che regna attorno al fenomeno. “Un ‘omertà scaturita dallo stato di soggezione fisica e psicologica degli sfruttati e dalle condizioni di stato di bisogno degli stessi”. Infatti, per verificare i sospetti di caporalato, glii inquirenti si sono serviti anche della testimonianza di quattro connazionali dell’uomo fermato, che hanno raccontato di essere costretti a pagare dai 250 ai 300 euro come “prima iscrizione” per poter lavorare, e 100 euro per gli anni successivi oltre ad una tantum durante il lavoro. Il caso di Sabaudia è il primo che verrà giudicato secondo le norme della legge contro il caporalato, approvata dal Parlamento lunedì 17 ottobre, che prevedono un’inasprimento delle sanzioni fino ad 8 anni di reclusione, e la chiamata in corresponsabilità anche da parte dell’azienda, nel caso venga dimostrato che fosse consapevole di usufruire di manodopera sfruttata.