Miele, le frodi cinesi e i “piccoli chimici” italiani

MIELE

Aggiungere zucchero al miele non maturo, filtrarlo dai pollini per evitare che se ne scopra la provenienza e poi sostituirlo con quelli tipici della zona che si vuole indicare. A raccontarci come funzionano le frodi sul miele è chi fa i controlli, come l’Ufficio qualità di Conapi

Una continua rincorsa tra “guardie” e “ladri”, con le prime che cercano di inchiodare i falsificatori di miele e i secondi che mettono a punto metodi sempre diversi e raffinati per mantenere il proprio vantaggio. È la storia di molte adulterazioni, vecchia come il mondo e fin troppo nota a chi ci combatte tutti i giorni.

Nel mondo delle api e del loro prezioso prodotto, senza dubbio tra le principali realtà italiane, se non altro per la sua originalità c’è Conapi, cooperativa che raccoglie oltre 600 apicoltori e in pratica condensa tutta la filiera dalla produzione al conferimento fino alla vendita del miele al consumatore. Con Elisa Prosperi e Maria Simona Russano dell’ufficio qualità di Conapi, abbiamo cercato di capire a che punto siamo in quello – tanto per rimanere nell’analogia con lo splendido film del 1951 di Monicelli, magistralmente interpretato da Totò e Aldo Fabrizi – che continua a essere un inseguimento senza fine.

Il punto di partenza è la definizione europea e del Codex Alimentarius: entrambi stabiliscono che il miele è il prodotto delle api “depositato, conservato e lasciato maturare nei favi dell’alveare”. Un prodotto naturale, insomma.

Peccato che non sempre sia così. In alcuni Paesi si esegue l’estrazione dai favi di una parte di nettare non maturo a cui vengono aggiunti zuccheri estranei e altre sostanze che confondono le analisi e chi deve effettuare i controlli.
Concordano le nostre intervistate: “Quello è il sospetto, o uno dei sospetti, anche perché se sapessimo con certezza come fanno, quando lo fanno e dove lo fanno avremmo risolto il problema. Questo sembrerebbe essere il meccanismo delle frodi cinesi. In pratica gli apicoltori non aspettano che il miele sia maturo e quindi poi utilizzano questa base filtrata, che è bene ripetere non si dovrebbe chiamare miele, per realizzare miscele con sciroppi, sostanzialmente zuccherini e l’aggiunta di qualche polline specifico per confondere i controlli. Ma non è detto che quest’ultima attività sia realizzata esclusivamente in Cina”.

Dunque è ipotizzabile che i piccoli chimici siano anche nei nostri confini?

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È probabile che ci sia qualcuno in Europa che compri miele non maturo e poi all’interno di impianti di determinate dimensioni faccia queste miscele del tutto simili, come composizione, al miele. La difficoltà oggi è che gli sciroppi che vengono utilizzati non sono più semplici estratti dalla canna da zucchero o dal mais come una volta. Sono molto più complessi, hanno diversi tipi di zuccheri, sempre più simili a quelli del miele. Di conseguenza è sempre più difficile andare a distinguere anche con le analisi se è miele oppure no.

In questo modo, tra l’altro, non è possibile controllare neppure l’origine…

Se si fa una ultrafiltrazione e si eliminano i pollini, non è più possibile risalire all’origine geografica del miele. Dopo il taglio con gli sciroppi zuccherini si procede a inoculare di nuovo il polline, questa volta del paese di origine che si vuole far figurare e il gioco è fatto. È un’operazione che richiede perizia, non è una cosa che fa l’apicoltore, né una banalità che possiamo fare in casa.

Di fronte a tanta perizia, che armi hanno autorità di controllo e aziende che acquistano miele? Di recente l’Uni ha pubblicato una nuova norma basata sulla risonanza magnetica nucleare per “fotografare” la composizione del miele. Può essere utile?

Il metodo è sicuramente uno strumento che può essere utile ma, purtroppo, al momento non esiste un’unica analisi con la quale sia possibile sapere se un miele è vero oppure no.
Trattandosi di un alimento molto complesso, deve essere analizzato sotto diversi punti di vista, serve una determinazione pollinica, analisi chimico-fisiche e screening isotopici approfonditi.

Una lotta che prevede armi abbastanza costose da parte di chi controlla e ricavi molto lucrosi per chi adultera… Vi risulta che il miele cinese arrivi sul mercato tra 1,20 euro e 1,30 euro al chilo contro minimo 4,50/5 euro del millefiori italiano all’ingrosso?

Sembrano cifre abbastanza realistiche. Poi dipende anche dalla sua destinazione.

Questo miele a bassissimo costo finisce come miele per l’industria o anche a scaffale per i consumatori?

Finisce un po’ dappertutto; sicuramente potrebbe essere facile veicolarlo come miele per l’industria, perché è quello di qualità inferiore e con quantitativi importanti. Il sospetto è che arrivi anche sugli scaffali europei, probabilmente più che su quelli italiani.

Perché queste differenze?

Perché noi abbiamo una legislazione attenta e più restrittiva rispetto a quella europea e già da diversi anni. In ogni caso un prodotto che si trova a scaffale a un prezzo evidentemente molto più basso rispetto agli altri, il sospetto lo deve far venire.

Che interesse può avere l’industria a utilizzare un falso miele come ingrediente per dolci, biscotti e simili dato che già lo paga poco?

Il miele per uso industriale utilizzato negli impasti, ad esempio nella panificazione, nei grandi lievitati, nei torroni, eccetera è comunque un prodotto che si acquista a circa 3 euro/kg all’ingrosso quando l’origine è Italia più del doppio di quello in arrivo dalla Cina che mi risulta essere proposto anche a 1,20 euro/kg. E il divario cresce per quello acquistato dall’industria con la denominazione commerciale di miele.

Non c’è solo il miele cinese adulterato; nella casistica dei sequestri c’è una sorta di mappamondo: dall’Ucraina all’Argentina, dal Messico al Brasile, persino dalla Gran Bretagna

Ora è diventata importante anche l’India. C’è da dire che in realtà capire da dove arriva è un po’ difficile perché poi ci sono tante aziende che hanno diverse sedi e diverse aziende, di conseguenza la tracciabilità è complessa. Però è un dato di fatto che se vengono realizzate e acquistate miscele con sciroppi, possiamo affermare che da una parte c’è senz’altro qualcuno che vende falso miele, dall’altra c’è, in ogni caso, qualcuno che lo compra.

Ci sono casi in cui sono state scoperte questa sorta di raffinerie in territorio europeo?

Ci sono degli indizi e qualche voce, ma naturalmente non abbiamo certezze.

Cosa manca a livello europeo in questa rincorsa continua tra guardia e ladri?

L’Europa ha finalmente istituito un gruppo di lavoro e una piattaforma sul miele, riunendo diversi esperti di tutti i settori, dagli apicoltori alle industrie per avere il parere di tutti e sta lavorando su come far diminuire le frodi, se identificare un laboratorio di riferimento e sta lavorando sulla rintracciabilità. La direttiva Breakfast sul miele prevede l’indicazione dei Paesi di origine in etichetta in ordine di presenza con le relative percentuali. Quindi diciamo che l’impegno c’è visto che il falso miele sta mettendo in ginocchio gli apicoltori. Mettendo in ginocchio gli apicoltori, del resto, si mette in ginocchio di conseguenza anche l’agricoltura.

Perché indicare in percentuali decrescenti l’origine dovrebbe ostacolare in qualche modo le frodi? Dov’è il nesso?

Più che ostacolare le frodi è essere più trasparenti nei confronti dei consumatori: una cosa è scrivere 90% Cina, 10% Italia, tanto per fare un esempio, altro è scrivere miscela di mieli comunitari ed extracomunitari. Resta però ancora qualche ombra, come prevedere una tolleranza per le piccole percentuali.

In che senso?

Ci sono casi in cui le miscele sono costituite da miele di differente origine e la direttiva prevede che quelle in piccole percentuali possano non essere dichiarate con precisione. E in quelle escluse potrebbero nascondersi i mieli cinesi.

Sembra un compromesso per non penalizzare troppo le industrie

Gli apicoltori hanno ribadito che se si vuol fare una legge a tutela del settore non si può lasciare aperta una finestra, bisogna prendere una posizione netta. L’altra cosa che si chiede è stanziare più di fondi da utilizzare per contrastare le frodi.

A proposito di soldi: per chi commercializza miele è un bel costo assicurarsi un prodotto non contraffatto.

Conapi impiega numerose risorse in controlli e analisi, in generale il settore investe cifre importanti. Non c’è solo un’analisi, ce ne sono tante, e su tonnellate di miele. Noi cerchiamo di avere sempre fornitori fidati. Quello che cerchiamo di fare è selezionarli molto bene, poi naturalmente abbiamo i nostri soci conferitori con circa 100.000 alveari, anche il miele dei soci viene controllato effettuando diverse analisi e molteplici controlli. Conapi rappresenta un’unicità poiché valorizza il miele conferito dai propri soci apicoltori, scelta ben diversa da quella che fanno gli altri player del mercato, che acquistano, confezionano e rivendono. Qualora attivi rapporti di fornitura, la policy di Conapi è quella di non accontentarsi del prezzo più basso, ma di puntare sempre alla qualità, alla verifica delle buone pratiche apistiche e al controllo analitico, intavolando relazioni di fiducia e lungo termine. I fornitori sono partner.

Ma i vostri fornitori non sono anche i soci di Conapi?

Sì, esatto come detto poco sopra abbiamo i nostri soci apicoltori e proprietari della cooperativa. Occorre fare un distinguo. Il rapporto di socio va ben oltre quello di fornitore ed è ciò che contraddistingue Conapi, che è un’autentica filiera. Il socio della cooperativa conferisce il suo prodotto in esclusiva e alla struttura operativa va il compito di valutarlo e valorizzarlo. A fronte di una domanda sempre crescente o di specifiche esigenze di alcuni clienti, attiviamo anche selezionati rapporti di fornitura dall’estero. Vi è però l’impegno a una crescita reciproca e un controllo stringente sulla qualità. Per quanto riguarda la filiera italiana, tutti i nostri soci sono controllati dal nostro personale tecnico qualificato, appurando sia i metodi di produzione che tutta la documentazione necessaria a garantire la tracciabilità di filiera.


Com’è la situazione italiana dell’ultima stagione? È ancora in difficoltà?

Sicuramente quest’anno, rispetto a quelli scarsissimi del 2023 e del 2024, il raccolto del miele è andato decisamente meglio perché le condizioni meteorologiche sono state abbastanza favorevoli durante il periodo primaverile, quindi il raccolto dell’arancio, dell’ acacia, è stato discreto. Forti temporali o periodi di forte siccità hanno portano qualche problema per le produzioni di fine estate come l’eucalipto, però possiamo affermare che questa del 2025 è stata un’annata di sollievo, di respiro per molti apicoltori.