Compost al veleno: il nuovo scandalo nel Bresciano

COMPOST SOVEA

Nel Bresciano la Sovea distribuiva compost contaminato da plastica e idrocarburi (fino a 12 volte il limite di legge) su terreni agricoli di Ghedi e Calvisano. Un nuovo scandalo ambientale che ricorda da vicino il caso Wte

Nel cuore del Bresciano, dove la filiera dei rifiuti muove numeri impressionanti – oltre 80 milioni di metri cubi di scorie distribuite in un centinaio di discariche e più di 500 impianti di trattamento – torna a farsi strada lo spettro della gestione illecita dei rifiuti. L’ultimo episodio riguarda la Sovea Srl di Ghedi, una società autorizzata dalla Provincia a ritirare rifiuti vegetali dalle multiutility per trasformarli in compost destinato all’agricoltura. Peccato che in quel compost siano stati trovati pezzi di plastica, vetro e idrocarburi fino a 12 volte oltre i limiti di legge.

L’operazione e il sequestro

L’operazione, scattata il 13 ottobre dopo quattro anni di indagini, è stata condotta dai Carabinieri Forestali di Brescia e Vobarno, con il supporto del Nucleo Radiomobile di Verolanuova e su mandato della Direzione distrettuale Antimafia. Gli investigatori hanno posto sotto sequestro l’impianto di compostaggio di Ghedi, un capannone di 9.600 metri quadrati immerso nella campagna, dove i cumuli di compost contaminato venivano accumulati e distribuiti.

Secondo gli inquirenti, tra il 2019 e il 2024 Sovea avrebbe ritirato 250mila tonnellate di rifiuti vegetali, che avrebbero dovuto essere trattati per eliminare i materiali estranei. In realtà, questa fase di lavorazione non sarebbe mai stata eseguita, “allo scopo di massimizzare i profitti”.

Il risultato è che quel compost, venduto a un euro a tonnellata o persino regalato, è finito nei campi di cereali e legumi di Ghedi e Calvisano, nel Piacentino e in altri comuni della Bassa Bresciana, contaminando terreni agricoli con sostanze nocive. L’amministratore unico della Sovea, Roberto Ancora, è oggi indagato per traffico illecito di rifiuti, in base all’articolo 452-quaterdecies del codice penale.

L’origine dell’inchiesta

Le indagini erano partite nel maggio 2021, dopo la segnalazione di un residente di Calvisano, che aveva notato nel compost sparso nei campi piccoli frammenti di plastica, vetro e persino una batteria stilo. Quella denuncia ha fatto scattare gli accertamenti, culminati nel sequestro dell’impianto.

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Sovea, oltre al sito di Ghedi, possiede un’unità produttiva a Castelvetro Piacentino e nel 2018 aveva tentato di aprire un altro impianto di compostaggio a Crotta d’Adda (Cremona), progetto poi respinto dopo le proteste dei cittadini e il no del Comune.

Il precedente: la vicenda Wte

Il caso Sovea ricorda da vicino quello della Wte di Brescia, la società che tra il 2018 e il 2019 aveva venduto come fertilizzanti 150mila tonnellate di fanghi tossici, poi finiti su 3.000 ettari di campi agricoli nel Nord Italia.

Come riportava Il Salvagente nel giugno 2021, la Wte era stata al centro di un’inchiesta della Direzione distrettuale Antimafia di Brescia, che aveva documentato l’imponente traffico di fanghi industriali spacciati per concimi. Le intercettazioni telefoniche avevano rivelato il cinismo dei dirigenti, che ironizzavano sulla contaminazione dei raccolti – “il bimbo che mangerà la pannocchia” – divenuta simbolo della vicenda.

L’amministratore delegato Giuseppe Giustacchini è stato condannato in primo grado a un anno e quattro mesi di reclusione. Le analisi avevano evidenziato concentrazioni elevatissime di metalli pesanti, idrocarburi e sostanze tossiche, spalmate su terreni agricoli di decine di comuni tra Cremona, Casalmaggiore e Mantova.