Patatine, snack vegetali e acrilammide: un rischio per i bambini

PATATINE ACRILAMMIDE

Acrilammide negli snack: uno studio innovativo dell’équipe del professor Ritieni, realizzato per il Salvagente, ha analizzato 36 chips vegetali. E ora è pubblicato da Food Control: i livelli più alti nelle patate e il rischio maggiore è per i bambini.

A gennaio 2025 Il Salvagente ha pubblicato in esclusiva i risultati di un’indagine scientifica di portata nazionale sul rischio acrilammide negli snack vegetali pronti al consumo venduti in Italia. Una ricerca condotta dall’équipe del compianto professor Alberto Ritieni, docente di chimica degli alimenti all’Università Federico II di Napoli, per anni prezioso collaboratore della nostra rivista, scomparso di recente ma la cui eredità scientifica resta viva.

Il lavoro porta la firma di A. Navarré, S. Lombardi, A. Paolillo, C. Martínez-Alonso, Y. Rodríguez-Carrasco e L. Izzo, ed è stato accettato dalla rivista internazionale Food Control (Elsevier) con il titolo: Updated Monitoring and Risk Assessment of Acrylamide in Traditional and Emerging Snack Products in the Italian Market.

Perché l’acrilammide è un problema di salute pubblica

L’acrilammide è una sostanza che si forma naturalmente negli alimenti durante la cottura ad alte temperature (oltre i 120 °C), soprattutto attraverso la reazione di Maillard, quel complesso insieme di processi chimici che dona colore e sapore ai cibi fritti o cotti al forno.

Il problema è che è stata classificata dallo IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) come “probabilmente cancerogena per l’uomo” (gruppo 2A). Oltre ai rischi oncologici, la letteratura scientifica documenta effetti neurotossici e possibili danni riproduttivi maschili.

Per questo l’Unione Europea, con il Regolamento 2017/2158, ha fissato dei valori di riferimento: per esempio 750 μg/kg nelle patatine, 850 μg/kg per il caffè solubile, 350 μg/kg nei biscotti e wafer.

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Lo studio italiano: 36 snack analizzati

Il gruppo di ricerca coordinato dai collaboratori del professor Ritieni ha analizzato 36 campioni di chips vegetali pronte al consumo reperibili sul mercato italiano.

Le matrici considerate coprivano sia prodotti tradizionali che innovativi:

  • patate (20 campioni)

  • mais (12 campioni)

  • lenticchie (2 campioni)

  • banana (1 campione)

  • mix vegetale (carota, barbabietola, pastinaca – 1 campione)

I ricercatori hanno utilizzato tecniche avanzate di cromatografia liquida e spettrometria di massa per quantificare l’acrilammide.

I risultati: patate sotto accusa

I dati parlano chiaro:

  • il livello di acrilammide variava da valori non quantificabili (<LOQ) fino a 730 μg/kg;

  • le chips di patata hanno mostrato la concentrazione media più alta (177 μg/kg), con punte che sfioravano il limite europeo di 750 μg/kg;

  • le chips di mais avevano un contenuto medio di 57 μg/kg;

  • le chips di lenticchia e di banana mostravano valori molto bassi;

  • sorprendentemente, anche il mix di verdure (carote, barbabietole, pastinaca) ha rivelato livelli non trascurabili (139 μg/kg).

È importante sottolineare che nessun campione ha superato il limite europeo, ma alcuni valori erano molto vicini alla soglia, in particolare nelle patatine tradizionali.

La valutazione del rischio: i bambini i più esposti

Il passo successivo della ricerca è stato valutare il rischio per la popolazione italiana, basandosi sui dati ufficiali dei consumi alimentari (studio INRAN SCAI IV).

Gli studiosi hanno calcolato il cosiddetto Margin of Exposure (MoE): più è basso, più aumenta la preoccupazione sanitaria. L’EFSA considera “a rischio” i valori inferiori a 10.000 per gli effetti cancerogeni.

Ebbene:

  • La valutazione del rischio condotta sulla popolazione italiana ha evidenziato una potenziale criticità per i bambini tra i 3 e i 9 anni. In particolare, sono stati rilevati valori di Margin of Exposure (MoE) inferiori a 10.000 (associati a effetti cancerogeni) per i contenuti medi di acrilammide nei campioni a base di patata e mix vegetale.;

  • anche gli adolescenti risultano esposti a livelli non trascurabili;

  • negli adulti, invece, la situazione appare meno critica, grazie a un consumo medio più basso rapportato al peso corporeo.

In sostanza, i bambini italiani sono i più vulnerabili, perché consumano snack in proporzione più elevata rispetto al loro peso e hanno un metabolismo meno efficace nell’eliminare l’acrilammide.

Le spiegazioni della dottoressa Luana Izzo

A commentare i risultati per Il Salvagente era stata a gennaio 2025 la dottoressa Luana Izzo, tra le autrici dello studio e responsabile della qualità del FoodLab del Dipartimento di Farmacia dell’Università Federico II di Napoli:

“L’acrilammide è un contaminante di processo e come tale dipende dal tipo di materia prima, dalla temperatura e dal tipo di cottura. La presenza di amido e di asparagina – più marcati nelle chips a base di patate – favorisce la formazione della sostanza tossica, così come la frittura rispetto alle preparazioni in forno”.

Izzo aveva poi sottolineato un aspetto innovativo dei risultati:

“Mentre le patatine sono in genere fritte in olio, i cosiddetti prodotti estrusi, come i Fonzies, vengono cotti attraverso il calore generato nel processo di estrusione, un’innovativa lavorazione termica che può preservare i nutrienti e minimizzare la formazione di sostanze nocive come l’acrilammide”.

L’estrusione, spiega la ricercatrice, è un processo industriale che sfrutta energia meccanica, pressione e temperature comprese tra i 100 e i 120 °C, dunque abbastanza “basse” per limitare la formazione del contaminante.

I risultati hanno inoltre evidenziato una forte variabilità in base alla matrice vegetale:

“A seconda del vegetale utilizzato – aggiunge Izzo – i livelli di acrilammide possono essere piuttosto variabili. Diversi tipi di vegetali contengono quantità differenti di asparagina e zuccheri riducenti, che influiscono sulla formazione del contaminante”.

Infine, Izzo ha ricordato l’impegno del FoodLab – fondato dal professor Ritieni – nello studio dell’acrilammide:

“Dal 2014 l’IARC ha classificato l’acrilammide tra i probabili cancerogeni per l’uomo, e già dal 2015 l’EFSA ha raccomandato di limitarne il consumo. L’ottimizzazione del nostro metodo analitico è stato un modo per onorare la memoria del professor Ritieni, e siamo certi che potrà essere utile anche all’industria alimentare, che spesso fatica a gestire un contaminante così complesso e tossico”.

Confronto con altri Paesi e trend europeo

La ricerca segnala anche che negli ultimi anni, a livello europeo, i livelli medi di acrilammide nelle patatine si sono abbassati rispetto agli anni 2000, segno che le norme UE hanno spinto le aziende a controllare meglio i processi produttivi.

Tuttavia, la variabilità resta enorme: dipende dal tipo di materia prima, dalle condizioni di conservazione, dall’olio usato e dal metodo di cottura (frittura profonda, forno, estrusione, ecc.).

Un’eredità scientifica importante

L’articolo accademico si chiude con una dedica: l’équipe ricorda e ringrazia il professor Alberto Ritieni, sottolineando quanto il suo contributo scientifico e umano abbia segnato il lavoro. La sua scomparsa rappresenta una perdita enorme per la comunità scientifica, ma i suoi allievi e colleghi continuano a portare avanti la sua ricerca con la stessa passione.