I bassi prezzi del fast fashion sono dovuti a salari bassi e a volte sfruttamento di lavoratori in paesi poveri. Ma quanto produrre indumenti come t-shirt e jeans con una filiera tutta made in Italy? L’esempio francese ci dà molte risposte
I bassi prezzi del fast fashion sono dovuti a salari bassi e a volte sfruttamento di lavoratori in paesi poveri. Ma quanto produrre indumenti come t-shirt e jeans con una filiera tutta made in Italy? L’esempio francese, raccontato da Que Choisir, ci dà molte risposte. Con una lunga inchiesta, il magazine francese ha indagato sui costi dei produttori transalpini che già puntano sulla produzione tutta sul suolo nazionale.
Il primo ostacolo: il prezzo
“Il prezzo elevato è il principale ostacolo al consumo: scoraggia il 70% degli intervistati. Nel reparto prêt-à-porter la differenza con alcuni capi d’importazione è evidente. Le magliette e i boxer da 40 euro o i jeans da 140 euro fanno fatica a competere con quelli provenienti dall’altra parte del mondo, venduti a 10 volte meno nei supermercati locali o sui siti di e-commerce. Il lavoro minorile, i lavoratori sovrasfruttati, l’inquinamento dei fiumi o le tonnellate di CO2 emesse durante la produzione e il trasporto tendono a restare nascosti quando l’inflazione impone dei compromessi…” scrive Que Choisir.
Il costo della manodopera
Va detto che la differenza di prezzo è giustificata da ragioni oggettive, prima fra tutte il costo della manodopera. “Abbiamo condotto uno studio nel 2017, i cui ordini di grandezza sono ancora validi”, ha spiegato Gildas Minvielle, direttore dell’Osservatorio economico dell’Istituto francese della moda a Que Choisir, “Ciò dimostra che la quota di manodopera raggiunge il 72% del prezzo di costo di un semplice paio di jeans prodotti in Francia. Mentre se fosse prodotto in Bangladesh, la percentuale scenderebbe a circa il 20%. “La manodopera rappresenta il 50-60% dei nostri costi di produzione”, afferma Guillaume Gibault, fondatore e direttore di Le Slip français. Di conseguenza, la scelta di produrre in Francia ha un peso notevole. Anche optando per il Portogallo, distante poche centinaia di chilometri, potremmo risparmiare moltissimo su questo articolo. In questo Paese, il salario minimo è circa la metà di quello francese, dove si aggira intorno ai 1.800 euro lordi al mese. Se invece si vanno a vedere gli stipendi medi in Asia, da dove proviene la maggior parte dei nostri vestiti, con dipendenti pagati l’equivalente di 100 euro al mese in Bangladesh e 150 euro in Vietnam, per (teoricamente) 48 ore settimanali, non c’è partita.
Le abitudini dei consumatori
Thomas Huriez, fondatore del marchio di jeans 1083, si lamenta: “Il più delle volte, però, queste spese non sono essenziali: quando compriamo un capo di vestiario, raramente è perché rischiamo di ritrovarci completamente nudi! Se ti dessi la possibilità di scegliere tra 20 bottiglie di vino a 1 euro e una sola a 20 euro, probabilmente sceglieresti la seconda, a meno che tu non sia un alcolizzato. Beh, con la moda, è come se fossimo alcolizzati “. Eppure non è solo una questione di prezzi.
Una filiera in difficoltà
In Francia hanno chiuso una dopo l’altra le filature che trasformavano le materie prime in filato. Le aziende di maglieria, tessitura e abbigliamento sopravvivono grazie ai pochi produttori che si posizionano sul mercato con l’etichetta “made in France”. “Tuttavia, la loro situazione è molto fragile. Ancora più grave è la scomparsa delle competenze, e con esse dei professionisti che le possedevano, nonostante la loro trasmissione sia essenziale per la sopravvivenza del settore” scrive il magazine francese.
Cambio di strategia
Intanto, la filiera ha iniziato a cambiare strategia, puntando sul contenimento dei prezzi al consumatore. Le Slip français ha riorientato le sue gamme su un unico materiale, una palette di colori più ristretta, adottato un modello più facile da assemblare e, soprattutto, ha reso possibile l’automazione senza compromettere la qualità, afferma l’imprenditore. Anche la Gentle Factory ha risposto proponendo una gamma di top e jeans a prezzi più bassi, utilizzato un filo leggermente più spesso, che rende il materiale un po’ meno morbido, lavorando con le scorte di rocchetti esistenti, sui colori base – blu, nero, grigio mélange, bianco – e modificato la confezione del colletto:”Abbiamo mantenuto solo l’essenziale, concentrandoci sull’aumento delle quantità, e vendiamo direttamente solo sul nostro sito.” Il nuovo marchio Cocorico, intanto, annuncia che vuole proporre prodotti made in France accessibili (25 euro per una t-shirt, 50 euro per una felpa), grazie all’internalizzazione della logistica, che consente operazioni just-in-time ed evita i costi legati all’inventario, ma anche con alcune rinunce tipo, il doppio fondo nei boxer.
Il quadro italiano
Un quadro che ha molte similitudini con l’Italia, dove però esistono anche distretti tessili come quello di Prato, in cui insistono anche talune sacche di sfruttamento dei lavoratori (spesso pagati da piccoli laboratori cinesi che lavorano in subappalto anche per aziende italiane).