Corte europea dei diritti umani: l’Italia pone a rischio la vita degli abitanti della terra dei fuochi

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L’inazione prolungata dello Stato italiano di fronte allo smaltimento illegale di rifiuti ha messo a rischio la vita dei residenti della Terra dei Fuochi. A dirlo è la Corte europea dei diritti umani

L’inazione prolungata dello Stato italiano di fronte allo smaltimento illegale di rifiuti ha messo a rischio la vita dei residenti della Terra dei Fuochi. A dirlo è la Corte europea dei diritti umani. Nella sentenza, la Cedu ha stabilito all’unanimità che c’è stata una violazione dell’articolo 2 (diritto alla vita) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il caso, denominato Cannavacciuolo e altri c. Italia, riguardava lo smaltimento, seppellimento o incenerimento di rifiuti su terreni privati, spesso operato da gruppi criminali organizzati, nelle zone della regione Campania note come Terra dei Fuochi, dove vivono circa 2,9 milioni di persone. Nella zona sono stati registrati tassi elevati di cancro e l’inquinamento delle falde acquifere.

L’assenza di diligenza da parte dello Stato

La Corte ha rilevato in particolare che lo Stato italiano “non aveva affrontato una situazione così grave con la diligenza e la rapidità richieste – nonostante fosse a conoscenza del problema da molti anni – specificamente nella valutazione del problema, nella prevenzione della sua continuazione e nella comunicazione al pubblico interessato”. La Corte ha stabilito, all’unanimità, ai sensi dell’articolo 46 (forza vincolante ed esecuzione delle sentenze), che l’Italia deve elaborare una strategia globale per affrontare la situazione della Terra dei Fuochi, istituire un meccanismo di monitoraggio indipendente e creare una piattaforma pubblica di informazione. Il termine per queste azioni è di due anni, durante i quali i 36 ricorsi correlati pendenti, presentati da circa 4.700 ricorrenti, saranno sospesi.

Discariche illegali e grandi fossi

I ricorrenti sono 41 cittadini italiani, residenti nelle province di Caserta o Napoli in Campania (Italia), e cinque organizzazioni con sede in Campania. I ricorsi sono stati presentati alla Corte europea dei diritti dell’uomo in varie date tra il 28 aprile 2014 e il 15 aprile 2015. La Terra dei Fuochi si riferisce a un’area di 90 comuni della Campania con una popolazione di circa 2,9 milioni di abitanti. “Uno dei metodi di smaltimento era il conferimento e il seppellimento dei rifiuti in discariche illegali, spesso cave, corsi d’acqua o grandi fosse scavate su terreni agricoli e poi coperte, con il terreno che continuava a essere utilizzato per l’agricoltura. È stato osservato che quando i rifiuti non venivano smaltiti, a volte venivano mescolati con altre sostanze per essere utilizzati, ad esempio, come materiale da costruzione o come compost, con impatti negativi sulle falde acquifere” ricorda la Cedu.

Le commissioni parlamentari

Secondo le ultime informazioni, sono state istituite sette commissioni parlamentari d’inchiesta sull’illegalità nella gestione dei rifiuti. Secondo le loro conclusioni, erano presenti numerosi siti di smaltimento illegale nelle province di Caserta e Napoli, in particolare nelle campagne intorno ad Aversa e sulla costa Domizio-Flegrea. Lo smaltimento illegale dei rifiuti era controllato da gruppi criminali organizzati. Quantità considerevoli di rifiuti erano state trasportate da tutta Italia. Il problema era noto alle autorità dal 1988. Per quanto riguarda lo smaltimento delle auto, un rapporto ha osservato a Marcianise e Castelvolturno “vere e proprie montagne di pneumatici che vanno in fumo”. “La contaminazione da diossina ha portato all’inquinamento di un’area considerevole. Una concentrazione eccezionale di metalli pesanti è stata osservata in alcune zone, come intorno a Villa Literno. Si è parlato un ‘avvelenamento persistente’ del suolo”.

I rapporti sull’aumento di tumori

Tra le altre conclusioni riguardanti la salute, è stato notato che i tassi di cancro erano aumentati notevolmente nella zona. Rapporti italiani e internazionali, come quelli di The Lancet OncologyEpidemiologia&Prevenzione, del Senato e dell’Organizzazione mondiale della sanità, confermavano risultati sanitari al di fuori delle norme italiane nella zona. Le commissioni parlamentari hanno evidenziato le questioni legali relative alla gestione dell’inquinamento, tra cui la deterrenza “praticamente inesistente”, la mancanza di “necessaria fermezza” nella risposta dello Stato, la quasi impossibilità di ottenere condanne per crimini ambientali e, tra l’altro, i brevi periodi di prescrizione. Erano critici nei confronti dei piani di bonifica e dei lunghi ritardi nell’azione.

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“Le autorità italiane sapevano ma…”

I ricorrenti si lamentavano, in particolare, che le autorità italiane erano a conoscenza, ma non avevano adottato misure per proteggerli dallo smaltimento, seppellimento e incenerimento illegale di rifiuti pericolosi nelle loro aree; e che le autorità non avevano fornito loro informazioni in merito. La Corte ha ritenuto che non vi fossero prove sufficienti di una risposta sistematica, coordinata e globale da parte delle autorità nell’affrontare la situazione della Terra dei Fuochi. I progressi erano stati lenti nella valutazione dell’impatto dell’inquinamento quando sarebbe stata necessaria rapidità. È stato notato un problema generalizzato di coordinamento e attribuzione delle responsabilità in Campania riguardo alla decontaminazione. Era impossibile avere una visione complessiva di ciò che doveva ancora essere decontaminato.

La risposta del governo

Il governo italiano ha affermato che erano state intraprese numerose azioni per indagare sugli impatti sanitari dell’inquinamento, come il potenziamento degli screening per il cancro. “Tuttavia, la maggior parte di queste misure era stata adottata solo dopo il 2013” scrive la Corte, “Vista la lentezza che caratterizzava la risposta delle autorità, non avevano agito con la diligenza richiesta nell’indagine sugli impatti sanitari dell’inquinamento della Terra dei Fuochi”. Il Governo ha fornito solo sette esempi di condanne presumibilmente correlate per crimini ambientali. Non era quindi soddisfatta che lo Stato avesse intrapreso le necessarie azioni di giustizia penale per combattere lo smaltimento illegale dei rifiuti nell’area della Terra dei Fuochi. La Corte ha aggiunto che le autorità italiane sembravano essere state piuttosto lente nell’affrontare le carenze sistematiche che affliggevano il sistema di gestione dei rifiuti in Campania.

I vuoti di comunicazione

“Data l’entità, la complessità e la gravità della situazione, era necessaria una strategia di comunicazione completa e accessibile, al fine di informare proattivamente il pubblico sui potenziali o reali rischi per la salute e sulle azioni intraprese per gestire questi rischi. Questo non era stato fornito. Anzi, alcune delle informazioni erano state coperte dal segreto di Stato per periodi considerevoli” scrive la Corte europea.

Legambiente: “Una sentenza che richiama alla responsabilità un’intera classe politica bipartisan”

Una sentenza che richiama alla responsabilità un’intera classe politica bipartisan che per anni ha sottovalutato, nascosto quello che accadeva in quel territorio. La Terra dei fuochi è una terra “martoriata” nella sua essenza più profonda ed ignorata per decenni da una classe politica trasversale che non è riuscita ad adottare soluzioni serie e concrete”. In una nota congiunta Stefano Ciafani e Mariateresa Imparato rispettivamente presidente nazionale e regionale di Legambiente commentano la sentenza della Corte europea dei diritti umani sulla Terra dei fuochi. “Dal 2003, anno in cui come Legambiente abbiamo coniato il termine nel nostro rapporto Ecomafia . continua la nota – raccogliendo le denunce che arrivavano dai nostri circoli presenti sul territorio, si sono succeduti 12 governi nazionali e 5 a livello regionale senza trovare un ‘vaccino’ efficace contro il virus ‘terra dei fuochi’. Chiediamo che in quei territori venga da subito attuata la sentenza, che impone una strategia globale, l’istituzione di un monitoraggio indipendente e una piattaforma di informazione pubblica. Deve essere fatta davvero ecogiustizia, a partire da una accelerazione seria, efficiente ed efficace della bonifica e con la chiusura del ciclo dei rifiuti. Lo dobbiamo ai tanti onesti cittadini campani che vogliono riscattare il proprio territorio e affermare i principi di legalità e trasparenza. Per fermare il fuoco e i veleni dell’ecomafia è necessario dare risposte efficaci, troppo a lunghe rimandate, che richiedono uno sforzo congiunto di tutti”.