Slow Food: “La carne importata non rispetta gli standard Ue”

CARNE SLOW FOOD

Slow food Italia chiede alla Ue di porre fine ai doppi standard applicati al cibo importato e di utilizzare le cosiddette clausole specchio per garantire che il cibo extraeuropeo sia almeno conforme alle norme stabilite per quello prodotto in Europa

Siamo sicuri che la bistecca o la carne per la bresaola importata dal Brasile rispetti esattamente tutti gli standard europei? Esiste invece un doppio standard che concede al cibo extraeuropeo alcune deroghe rispetto agli obblighi di legge che devono essere rispettati dagli alimenti prodotti nell’Unione europea? La risposta, leggendo il nuovo report di Slow food Italia, purtroppo è sì. L’associazione ha prodotto tre dossier su carne bovina, riso e soia e denuncia proprio l’esistenza di un doppio standard che penalizza i consumatori europei.

Per superare questa contraddizione che può nascondere più di un’insidia per la nostra salute, Slow food “chiede all’Unione europea di porre fine ai doppi standard applicati al cibo importato e di utilizzare le cosiddette clausole specchio per garantire che il cibo extraeuropeo sia almeno conforme agli standard stabiliti per quello prodotto in Ue“.

Concentriamoci sulla carne bovina importata dall’estero per capire come il doppio standard può rappresentare un rischio per i consumatori.

La classifica mondiale dei paesi produttori di carne bovina vede gli Usa in testa, seguiti da Brasile, e Cina. L’Europa si posiziona al quarto posto. Se invece guardiamo alla situazione interna all’Ue, al primo posto troviamo la Francia, quindi la Germania e poi l’Italia con le sue 750mila tonnellate annue. Il resto le importiamo per soddisfare la domanda interna o per usare queste carni per prodotti trasformate anche destinate all’estero.

Slow food ha analizzato il caso specifico delle differenze di regole tra l’Ue e il Brasile, per il quale l’Italia è, tra i paesi europei, il primo importatore.

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Riportiamo di seguito le differenza di standard come descritto nel report dell’associazione:

Tracciabilità

La tracciabilità degli animali dalla nascita alla macellazione è un obbligo nell’Ue (anche se purtroppo non riguarda i preparati a base di carne), ma non si applica completamente ai prodotti animali importati da paesi terzi, per i quali è richiesta solo la tracciabilità delle fasi di ingrasso e finitura.

In Brasile mancano vincoli rigorosi in materia di tracciabilità, per cui non possiamo di fatto sapere da dove proviene la carne che acquistiamo da quel paese. Possiamo solo sapere che l’animale ha passato in Brasile l’ultimo periodo. A meno che non si introducano apposite clausole specchio per l’importazione delle carni brasiliane.

Benessere degli animali

L’Ue ha regole severe non solo per l’alimentazione, ma anche per le condizioni di allevamento, macellazione e trasporto. Lo ripetiamo: siamo stati tutti colpiti dal documentario “Food for profit” nel quale si denunciano le condizioni terrificanti di alcuni allevamenti su suolo europeo. Tuttavia, quelle situazioni non sono solo terrificanti, sono anche illegali, ed è possibile denunciarle proprio perché esistono normative da rispettare.

L’introduzione di clausole specchio sul tema del benessere animale potrebbe accelerare, in Brasile, come negli altri paesi esportatori, il processo di maturazione che porta alla creazione di un sistema vincolante, che a oggi manca.

Alimentazione degli animali

Un punto sensibile riguarda l’utilizzo di farine a base di prodotti di origine animale: in Europa dal 1999 è vietato somministrarle ai ruminanti (“grazie” allo scandalo della “mucca pazza”), ma per quanto riguarda le carni importate, questo divieto si applica se la carne proviene da animali di regioni o paesi a rischio conclamato. Per i bovini provenienti (ma come la mettiamo con la tracciabilità?) da paesi con un rischio trascurabile o “controllato” di Bse, cioè – secondo l’Oie – la Francia e la maggior parte dei partner commerciali della Ue (Brasile, Canada, Stati Uniti, Argentina, ecc.), il certificato sanitario per l’importazione di carne bovina nell’Ue non deve far riferimento alle farine animali.

Antibiotici e ormoni promotori della crescita

Il divieto di importazione di carne bovina trattata con ormoni è in vigore in Europa dal 1996 e l’uso di antibiotici come promotori della crescita è vietato nell’Ue dal 2006. Tuttavia, queste regole non sono ancora state applicate. Un primo regolamento di attuazione è stato pubblicato a gennaio 2024 per essere applicato da marzo 2026, ma è basato sull’autocertificazione.

In Brasile è autorizzato l’uso di antibiotici a scopo terapeutico, profilattico e metafilattico. Anche se negli ultimi vent’anni le autorità brasiliane hanno introdotto normative tese a ridurre l’uso di alcuni antibiotici ritenuti critici, molte molecole e in generale parecchi antibiotici sono ancora consentiti.

Così, anche per gli antibiotici si alzano i limiti massimi per i residui, creando un doppio potenziale danno – di tipo sanitario per il consumatore e di tipo economico per il produttore europeo che rispetta regole più severe -, quando invece sarebbe molto più saggio inserire clausole specchio negli accordi commerciali.

Pesticidi e antiparassitari

Anche per questi medicamenti, utilizzati negli allevamenti per via orale o per uso esterno, ci sono forti differenze, quantitative e qualitative, tra la lista delle sostanze autorizzate in Ue e quella delle sostanze consentite negli altri paesi.

Disparità di costi di produzione

Con questa disparità di normative, non mitigata da clausole specchio, i costi per gli allevamenti di bovini da ingrasso variano, globalmente, da poche centinaia a oltre mille dollari per 100 kg di peso morto, e gli allevamenti europei sono tra più costosi. Se poi si considerano i produttori di piccola scala, che allevano prevalentemente razze autoctone curando la linea vacca-vitello, l’insostenibilità del costo di produzione porta spesso alla chiusura delle aziende, segnatamente in Italia.