Deforestazione nel Chaco: le ombre su Parmigiano Reggiano e prosciutto San Daniele

CHACO DEFORESTAZIONE

L’ennesima denuncia di come i nostri prodotti siano collegati a milioni di ettari di foreste in fumo dall’altra parte dell’Oceano, nel secondo habitat forestale più grande del Sudamerica. Questa volta a finire sotto accusa sono il Prosciutto San Daniele e il Parmigiano Reggiano per la soia del Chaco

 

La soia argentina, coltivata nelle aree deforestate del Chaco, spesso illegalmente, continua a essere una presenza controversa nell’industria alimentare europea, impiegata ampiamente com’è negli allevamenti intensivi di animali da cui si produce latte e carne.
E a poco sembrano servire gli sforzi annunciati dall’Unione europea per contrastare i prodotti derivanti dalla deforestazione. Se da una parte, infatti, la Ue ha adottato normative volte a regolamentare l’ingresso nei paesi membri di prodotti agricoli provenienti da terreni deforestati, la loro piena attuazione si fa ancora attendere.
L’argomento è tornato sotto i riflettori grazie a una recente inchiesta del giornale indipendente VoxEurop, che racconta dell’incremento dei consumi di farina di soia argentina da parte degli Stati europei, Italia compresa.

Il potere della soia

Una veduta del Chaco del Paraguay

Il Gran Chaco è una foresta sudamericana, sorella minore della più conosciuta foresta Amazzonica e secondo habitat forestale più grande del Sudamerica. Il Chaco si estende per 110 milioni di ettari – oltre un milione di chilometri quadrati, più di tre volte l’Italia – tra Argentina, Paraguay, Bolivia e Brasile. La foresta ospita quasi cinquemila specie diverse di piante e animali, alcune delle quali in serio pericolo di estinzione. Questo delicato ecosistema è messo a rischio da un modello di agricoltura intensiva, che vede nella soia il principale prodotto di esportazione.
Secondo un rapporto pubblicato nel 2022 della rete Periodistas por el Planeta, coordinato dall’argentina Marina Aizen, il consumo smisurato di soia è costato negli ultimi 30 anni circa 14 milioni di ettari di alberi nel Chaco argentino. La quota di deforestazione (25 per cento) nell’intera ecoregione transfrontaliera supera quella nell’Amazzonia (17 per cento) ed è seconda solo a quella del Cerrado (50 per cento).

Campo dedicato all’agricoltura e all’allevamento ad Almirante Brown, Chaco. È simile per dimensioni alla città di Buenos Aires. In un lotto vicino si vede un incendio proveniente da una nuova radura
Fonte: Report Deforestacion – Perodistas per el planeta

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Nel 2023, l’Ue ha registrato un volume record di farina di soia proveniente dall’Argentina, superando addirittura i consumi accumulati nel decennio 2012-2022, come racconta il giornalista Stefano Valentini di VoxEurope che ha consultato i dati Eurostat 2023: i numeri dimostrano un’impennata di sbarchi di carichi di soia nel Vecchio Continente attraverso la Spagna, dove la soia (transgenica) arriva spesso già trasformata in farina o in semi grezzi che poi vengono lavorati negli impianti europei.
Il dato preoccupante è alimentato dalla crescente richiesta di carne e latticini in Europa, per i quali gli allevatori dipendono pesantemente da cereali importati dall’America Latina, soprattutto di soia, che, dato il suo alto valore proteico, rappresenta fino al 25 per cento nella composizione dei mangimi destinati agli allevamenti industriali. Come sostenuto anche dal Wwf, la coltivazione della soia ha devastato gli ecosistemi forestali più di qualsiasi altro prodotto entrato tra il 2005 e il 2017 nell’Unione europea.

Pratiche illegali

Il pecarì Chacoano o tagua (Catagonus wagneri) è l’ultima specie esistente del genere Catagonus, che si trova nel Gran Chaco del Paraguay, Bolivia e Argentina. Nel mondo ne restano circa 3.000

L’Argentina, secondo fornitore di prodotti di soia dell’Ue dopo il Brasile, copre il 21% del fabbisogno complessivo dei 27 stati membri. L’Europa è al secondo posto mondiale per le importazioni di soia, dopo la Cina, e al terzo posto dopo Cina e India per tutte le derrate la cui produzione è responsabile della deforestazione, con oltre 580 milioni di tonnellate importate negli ultimi dieci anni. Ma soprattutto l’Europa è il principale importatore di soia dal Chaco argentino, con 356mila tonnellate nel 2019 (pari a oltre il 50 per cento dell’export complessivo dell’area), dunque il più importante acquirente da un luogo in cui la produzione è spesso legata a pratiche illegali di deforestazione.
La domanda crescente di soia da parte del Vecchio Continente, ha spinto i produttori a disboscare questa zona d’Argentina per far posto alle colture di soia. Inoltre, secondo le stime del think tank Planet Tracker, la deforestazione nel Chaco imputabile alla soia importata dall’Ue avrebbe causato il rilascio di 7,3 milioni di tonnellate di CO2 solamente nel 2018.
Il problema è conosciuto dalle nostre parti ma le misure di regolamentazione della deforestazione tardano a essere pienamente applicate. Nel 2022, l’Unione europea ha adottato la normativa Eudr (European union deforestation regulation), mirata a vietare l’ingresso nel mercato europeo ai prodotti agricoli provenienti da terreni deforestati.
Ma l’applicazione di questa normativa è stata posticipata al 2025, lasciando ampie scappatoie giuridiche che consentono ancora la commercializzazione di prodotti legati alla deforestazione. Infatti, Il Chaco, insieme al Cerrado brasiliano, è un ecosistema complesso che non rientra pienamente nella definizione restrittiva di “foresta” dato dalla Fao su cui si basa l’Eudr. E così, almeno un terzo del Chaco rischia di rimanere esposto alla deforestazione a meno che non vengano adottate ulteriori misure per estendere la protezione della normativa europea anche ad altre zone boschive.

Le accuse ai big del made in Italy

Bovini Brahman una razza americana, in un allevamento nel Chaco del Paraguay

La soia che contribuisce alla deforestazione viene anche impiegata in prodotti prestigiosi, Dop italiani, quali il Parmigiano Reggiano e il Prosciutto San Daniele. Questa è la tesi della seconda parte dell’inchiesta condotta da VoxEurop e pubblicata a marzo 2024. I dati di MarineTraffic, consultati dal giornalista Stefano Valentino, hanno consentito di rintracciare diverse navi che, dal 2019 a oggi, hanno attraversato l’Atlantico dai porti argentini fino a quelli di scarico in Italia e Spagna, rispettivamente al primo e al secondo posto in Europa per importazione di soia (al quinto e sesto posto mondiale). Sempre nel 2019, Italia e Spagna hanno importato rispettivamente circa 71.800 e 76.000 tonnellate di soia (semi e farina), provenienti dal Chaco argentino. Circa il 2,1% provengono rispettivamente da almeno 466 e 500 ettari potenzialmente disboscati. Una volta giunta in Italia e Spagna, riporta VoxEurop, la farina viene miscelata con altri cereali dai produttori di mangimi che riforniscono tutti i comparti nazionali di bestiame (suini, bovini, pollame, uova, vacche da latte).
I tre principali importatori di farina in Italia (tra cui quella adibita ai mangimi) sono la cinese Cofco, l’argentina Aceitera General Deheza e l’americana Bunge: assieme totalizzano il 70% delle importazioni italiana dall’ecoregione argentina. Ravenna e Savona, invece, sono i due principali porti dove arrivano le navi cargo cariche di soia, dalla dubbia provenienza: Progeo, infatti, che è una delle più importanti cooperative agricole italiane, ha confessato a VoxEurop di non essere in grado di garantire che la farina acquistata da Cofco e Bunge non provenga da zone deforestate. Con questa farina, nel 2022 Progeo ha prodotto e venduto oltre 5 milioni di quintali di mangimi. Il 15 per cento è finito nel settore suinicolo, mentre il grosso si è riversato nel comparto delle vacche da latte. Gli allevamenti che si riforniscono da Progeo si trovano per la maggior parte in quattro regioni italiane: Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia. Così, si chiude il cerchio che dal Chaco trasporta soia da disboscamento nelle regioni italiane dove si producono marchi famosi come Parmigiano Reggiano e Prosciutto San Daniele. Sulla cui “sostenibilità”, se i dati fossero confermati, è necessario farsi qualche domanda.

Gli impegni del Consorzio del Parmigiano

Viste dei silos della società Cofco nel dipartimento di Anta, provincia di Salta, uno dei luoghi più deforestati dell’Argentina. Fonte: Report Deforestacion – Perodistas per el planeta

Abbiamo cercato le due aziende chiamate in causa dall’inchiesta pubblicata su VoxEurope. Una, il Consorzio del Prosciutto di San Daniele ha preferito non rilasciare dichiarazioni, l’altra, il Consorzio del Parmigiano Reggiano, ci ha inviato una nota firmata dal direttore Riccardo Deserti. “Premettiamo che per il Parmigiano Reggiano è necessario utilizzare una minima quantità di soia perché la componente proteica principale è data dal fieno. Negli ultimi anni il Consorzio si sta impegnando per rafforzare ulteriormente il legame col territorio e per ridurre progressivamente la soia integrando la razione con altre fonti proteiche locali e nazionali. Questo ancor prima del nuovo regolamento sulla deforestazione e per un’esigenza intrinseca alla Dop che è quella di reperire la materia prima nell’area di produzione. Riteniamo possibile impegnarsi in progetti mirati a utilizzare fonti proteiche alternative e locali, contribuendo così, sia a rendere la Dop sempre più legata al territorio di origine, sia a ridurre o eliminare l’utilizzo di soia proveniente da deforestazione. Riteniamo che questi obiettivi possano trovare impulso anche grazie all’entrata in vigore il 13 maggio del nuovo Regolamento (EU) 2024/1143 sulle indicazioni geografiche”.