Continua a far discutere il test del Salvagente su 12 zuppe pronte con legumi che ha trovato pesticidi non autorizzati in Europa. E in due prodotti biologici tracce di glifosato. C’è chi, come l’esperto di agricoltura bio Roberto Pinton, ritiene che l’obbligo di fermare la produzione in questi casi sia troppo severo.
“La contaminazione a concentrazioni basse di pesticidi nel bio? Se parliamo di tracce, cioè di una quantità che il laboratorio non può nemmeno quantificare con sufficiente probabilità, penso sia causato da un inquinamento ambientale, tecnicamente difficile da evitare vista la predominanza dell’agricoltura convenzionale. Dopodiché la legge (il nuovo decreto legislativo n.148/2023, ndr) impone anche in casi come quelli rilevati da voi che l’organismo di controllo debba intervenire e verificare le motivazioni e se ci sono contromisure da prendere”. Roberto Pinton, esperto di diritto alimentare e di agricoltura biologica, esprime perplessità sulla rigidità delle nuove norme che disciplinano la presenza in tracce di pesticidi nei prodotti bio.
Dottor Pinton, abbiamo rilevato glifosato, a volte in tracce a volte con tenori più pronunciati, in diversi campioni, tanto bio che convenzionali. Essendo queste zuppe composte da legumi, verdure e cereali quale potrebbe essere l’ingrediente più esposto?
Premettendo che nell’agricoltura biologica l’impiego di glifosato e di altri fitosanitari di sintesi è vietato, direi che nella produzione convenzionale è più probabile un trattamento prima del raccolto sui cereali e/o sulle leguminose, escluderei gli ortaggi.
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Perché si ricorre a questa sostanza?
Ribadito che nella produzione biologica è del tutto vietato, è bene ricordare che in Italia nella produzione convenzionale ne è vietato l’utilizzo solo come diseccante per ottimizzare il raccolto o la trebbiatura. Potrebbe invece essere stato usato legittimamente prima della semina o del trapianto e/o dopo l’emersione di erbe infestanti, anche con diverse applicazioni, in base al loro sviluppo. Altro discorso invece se la provenienza della materia prima è estera.
Ovvero?
Se ad esempio nelle zuppe è stato inserito farro dell’Ohio o lenticchie del Montana, ai confini col Canada, è bene sapere che qui il glifosato è legittimamente impiegato anche prima della trebbiatura come essiccante per raggiungere il giusto grado di umidità della granella anche con andamento climatico sfavorevole.
Purtroppo in questi mix non viene mai specificata la provenienza dei singoli ingredienti, quindi è difficile risalire all’origine dei trattamenti…
Se il prodotto è convenzionale, cambierebbe poco, dato che anche in Italia, esclusa la fase di pre-raccolta, nella produzione non biologica l’uso del glifosato è ammesso. Se ne potrebbe fare a meno seminando nelle aree vocate, utilizzando buone pratiche agricole e ricorrendo a interventi meccanici con diversi attrezzi per sradicare le erbe infestanti. Nelle aree collinari centrali, farro e lenticchie sono diventate colture tradizionali grazie a condizioni ambientali perfette date dal mix di terreno, escursione termica, sole e vento. Se la produzione trascura la buona agronomia e si sposta in aree meno vocate, dove però i costi di produzione si possono ridurre con la meccanizzazione spinta e selezionando varietà sì più produttive, ma anche meno rustiche, la chimica diventa praticamente inevitabile.
Il legame coltura-territorio-condizioni climatiche è dunque fondamentale.
Certo. Faccio un esempio: in Sicilia si concentra quasi il 28% delle superfici a vite biologica, quando nel Veneto del Prosecco siamo al 7% e nel Piemonte di Barolo e Barbaresco siamo al 3%. Le principali avversità fitosanitarie della vite sono le malattie fungine, che sono di gran lunga meno rilevanti nelle aree con clima più asciutto, vento e sole che contribuiscono a ridurre l’incidenza dei funghi e anche la pressione degli insetti. Nelle aree del paese con maggior piovosità, climi umidi e temperature decisamente più rigide, la coltivazione è più complessa.
Veniamo allo specifico della contaminazione in tracce da noi rilevata in alcuni campioni bio. Così è successo, per esempio per il glifosato nella zuppa alla toscana Vallericca bio e in quella Almaverde. Cosa prevede la norma?
In base, da ultimo, al decreto legislativo n.148/2023 l’operatore che in fase di autocontrollo rilevi principi attivi anche sotto il limite di rivelabilità quantitativo, deve mettere il prodotto in quarantena e avvisare l’organismo di controllo per l’avvio di un’indagine ufficiale. Quando dalle verifiche risulti l’estraneità degli operatori lungo la filiera e l’inevitabilità della presenza, il prodotto esce dalla quarantena e può essere commercializzato come biologico se la presenza è sotto 0,01 parti per milione (mg/kg, ndr), in parole povere meno di 1 grammo su 100 tonnellate di prodotto. Questa soglia è quella che la normativa europea sul baby food, sui cibi per i bambini sotto i tre anni, considera una contaminazione di fondo tecnicamente inevitabile. Secondo il decreto ministeriale n. 309/2011 se la presenza supera questo “zero tecnico” il prodotto non può essere commercializzato come biologico, nemmeno se l’indagine ha escluso qualsiasi responsabilità dell’operatore. Per intenderci, se in un cereale coltivato in un’azienda biologica si trova più di 0,01 ppm di una sostanza che non ha nessuna funzione tecnica sulle colture erbacee che dalle indagini emerge essere arrivata nel campo per deriva da un frutteto vicino, il cereale viene in ogni caso declassato a convenzionale, anche se l’operatore è del tutto innocente. Questo non ha molto senso, dato che si pretende che l’operatore eviti una contaminazione che la stessa normativa qualifica come… inevitabile: gli agricoltori biologici sono bravi, ma ancora non sono in grado di fare miracoli.
Un’ultima questione: in prodotti come questi, le zuppe fresche, in cui ci sono un mix di prodotti, non esistono limiti di legge per il glifosato, perché?
Perché il glifosato non si usa sulle zuppe fresche, ma si usa nella coltivazione dei prodotti che le compongono: dato che le ricette delle zuppe sono variabili, è per i singoli ingredienti che è fissato il Lmr (limite massimo di residui). In base alla normativa, per l’orzo il Lmr è di 20 ppm (2.000 volte quella che è la soglia di decertificazione per il biologico), per lenticchie e ceci è di 10 ppm, per le patate di 0,5 ppm e così via.
E allora come si evitano le contaminazioni?
Spetta all’operatore convenzionale accertarsi, prima di comporre la zuppa, che i singoli ingredienti rispettino i Lmr, escludendo naturalmente quelli che hanno concentrazioni di pesticidi superiori alla norma, mentre quello che fa biologico deve essere sicuro che nessun ingrediente superi lo zero tecnico.