L’italiano dietro la vittoria dell’industria sugli allevamenti in gabbia

ALLEVAMENTI IN GABBIA

Non solo l’Europa non varerà entro quest’anno una legge per eliminare gli allevamenti in gabbia come aveva promesso ma non se ne parlerà neppure il prossimo anno. Un’inchiesta giornalistica spiega come le lobby degli allevatori hanno raggiunto il risultato contro il parere dell’89% dei consumatori europei. E il ruolo di un italiano: Andrea Bertaglio.

Da una parte l’89% degli europei, quasi nove su dieci, che volevano dare uno stop alle gabbie per galline, polli da carne, maiali, vitelli, conigli e quaglie. Dall’altra uno sparuto ma potentissimo gruppo di allevatori che vedevano ogni misura europea in tal senso come fumo negli occhi o meglio come fine inevitabile degli allevamenti nel Vecchio Continente. In mezzo la Commissione europea che aveva promesso entro la fine del 2023 una legislazione per eliminare gradualmente l’uso di gabbie per l’allevamento di animali d’allevamento e che ora non solo ci ha rinunciato per l’anno in corso, ma ha depennato la misura anche dal programma 2024.

In sintesi è questa la situazione che il Salvagente aveva già anticipato in questo articolo e che oggi un’indagine del consorzio mediatico di Lighthouse Reports con IrpiMedia e The Guardian, descrive in una lunga e accurata inchiesta. Puntando l’obiettivo verso le lobby industriali che hanno smontato, pezzo per pezzo, il divieto che era stato pensato per innalzare l’asticella del benessere animale in Europa.

“Combattimento duro e sporco”

Descrivono molto bene le pressioni ricevute le parole di Anja Hazekamp, vicepresidente della commissione ambiente del Parlamento europeo: “L’industria ha combattuto davvero duramente e sporcamente su questo dossier. Hanno provato tutto ciò a cui potevano pensare perché sanno che abbiamo un disperato bisogno di una legislazione sul benessere degli animali per rendere il nostro sistema alimentare più sostenibile e umano, e questa era la loro ultima possibilità. Non vogliono cambiare, ma vedono che il cambiamento è inevitabile, quindi diventano disperati. Faranno di tutto per salvarsi la pelle”.

In quel “di tutto” c’è stato certamente un attacco diretto all’Efsa, rea, secondo le lobby industriali di voler far scomparire il settore. Ad un certo punto diversi gruppi hanno presentato un’analisi di 60 pagine sostenendo che una valutazione positiva dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) sul pacchetto pianificato non era “imparziale” e conteneva “gravi errori scientifici”.

L’analisi di 60 pagine mirava a “screditare il lavoro della commissione – in particolare il lavoro scientifico – e a lamentare la mancanza di trasparenza nel lavoro svolto su economia e competitività”, ha spiegato un funzionario ai colleghi che hanno condotto l’inchiesta giornalistica.

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Un attacco concentrico e ben studiato, che si è subito rinforzato  con una lettera alla commissione da parte del muscoloso sindacato agricolo europeo Copa-Cogeca, in cui si afferma che il parere dell’Efsa “porterebbe alla perdita della maggior parte del settore europeo del pollame, carne e uova messi insieme”.

Il ruolo di Andrea Bertaglio

Vecchie e nuove strategie si mescolano nell’azione della potente lobby europea della carne. Da una parte le influenze pesanti sulla politica, dall’altra tattiche più consone alle attività di Ong, come flashmob, campagne Twitter e organizzazione dei social media. Al centro di queste ultime c’è un italiano, Andrea Bertaglio, campaign manager di Elv, European Livestock Voice, un nuovo gruppo particolarmente attivo. Eppure, come ha detto lui stesso, la sua “identità ufficiale” è quella di giornalista ambientale, ma il suo “vero lavoro ora è quello di informare il pubblico sulla produzione animale”. È con queste parole che il giornalista ha spiegato come oggi sia impegnato con ELV e come, da ben prima, si sia occupato del tema per Carni Sostenibili, una campagna dell’industria italiana della carne.

(Andrea Bertaglio su linkedin)

Il materiale esclusivo ottenuto da Lighthouse Reports mostra che Bertaglio ha ripetutamente affermato che l’obiettivo di ELV quest’anno è la legislazione sul benessere degli animali e che sta “impostando un’intera strategia di comunicazione” su questo tema. Ha anche difeso l’allevamento intensivo e ha detto che il prossimo passo di ELV sarà mettere in discussione gli scienziati che pubblicano articoli critici nei confronti della carne.

Bertaglio ha detto al Guardian che vuole evitare una guerra culturale polarizzata in stile americano sul consumo di carne, ma “parliamo molto di cultura quando parliamo di bestiame”, ha detto. “La cultura in termini del nostro comportamento, delle nostre abitudini, è un argomento molto culturale, sociologico e filosofico in termini di approccio”.

Bertaglio si è espresso anche contro quella che ha definito una costante “propaganda che collega… consumo di carne, clima e ambiente in un modo che fa sentire costantemente i bambini in colpa e a disagio”.

Il campaign manager di Elv, però, ama definire il suo lavoro come quello di giornalista: “Quello che faccio con European Livestock Voice è informare, scrivere articoli in modo equilibrato, intervistare persone, esperti”. Tra i suoi obiettivi, ha continuato Bertaglio, vi è anche chiarire i malintesi derivanti dalla tendenza degli europei occidentali a “umanizzare un po’ troppo gli animali”.

Bertaglio, nel corso dell’intervista con i giornalisti di Lighthouse Reports con IrpiMedia e The Guardian che hanno lavorato all’inchiesta, ha citato come esperti di cui cerca il parere imparziale i firmatari della Dichiarazione di Dublino e Frank Mitloehner, capo di un centro di ricerca agricola presso l’Università della California – Davis.

Molti dei firmatari di questa Dichiarazione, come ha dimostrato un’analisi di Food Unfolded, non sono scienziati ambientali, oppure hanno legami con l’industria della carne. Inoltre, il gruppo accademico di Mitloehner «riceve quasi tutti i suoi finanziamenti da donazioni dell’industria e si coordina con un importante gruppo di lobby del bestiame per le campagne di messaggistica», ha scritto il New York Times nel 2022.