Allevamenti cozze e vongole, il report Ue: carenze nei controlli e rischi per i consumatori

cozze molluschi

Un rapporto della Commissione europea evidenzia le carenze nei sistemi nazionali di controllo dei molluschi. Tra i paesi analizzati, anche l’Italia

La Commissione europea all’inizio di agosto ha pubblicato un rapporto sui controlli e la sorveglianza della produzione di molluschi bivalvi, come cozze, vongole e ostriche, sulle coste dell’Ue. L’indagine, condotta in 15 paesi tra cui l’Italia, sostiene: “Sebbene le autorità competenti di tutti gli Stati membri produttori abbiano sviluppato sistemi di controllo ufficiali per i molluschi bivalvi, questi sistemi non sempre soddisfano gli obiettivi della legislazione comunitaria”.

I molluschi trattengono le sostanze inquinanti

A riportare la notizia Euractiv, che spiega come il problema è che filtrando l’acqua circostante, questi molluschi tendono ad accumulare microrganismi e contaminanti chimici, ed è per questo motivo che l’Ue impone un monitoraggio regolare e controlli rigorosi. Tutti i paesi devono in particolare classificare le zone di produzione in tre categorie (A, B o C) in base al loro grado di contaminazione fecale (batteri E. Coli).

La differenza tra le zone A, B, e C

Nella zona A i molluschi possono essere raccolti e commercializzati direttamente, mentre nelle zone B o C devono passare attraverso fasi di depurazione più o meno lunghe per ridurne la contaminazione.  In Europa la maggior parte dei molluschi venduti fanno parte di questa categoria.

Scarse informazioni diffuse sui singoli paesi

Secondo il rapporto, che si è basato su statistiche ufficiali, risultati di audit e questionari, “Alcuni Stati membri hanno compiuto sforzi considerevoli per soddisfare questo requisito e hanno condotto indagini complete e ben strutturate. Tuttavia, la situazione in altri Stati membri è meno positiva, con (nella migliore delle ipotesi) indagini di scarsa qualità o (nella peggiore delle ipotesi) nessuna indagine”. Il problema è che nonostante la richiesta di chiarimenti da parte di Euractiv, la Commissione non ha fornito maggiori dettagli sull’identità dei paesi coinvolti in questo studio. Aspetto non secondario in ottica di trasparenza, anche per capire se l’Italia è tra i migliori o i peggiori.

La presenza di biotossine

Per quanto riguarda le biotossine, prodotte dalle microalghe che possono accumularsi nei molluschi, i controlli si sono si rivelate spesso non conformi ai requisiti Ue, così come per il dosaggio del plancton tossigeno (microalghe). Anche se il dato varia notevolmente da uno Stato membro all’altro, secondo il rapporto.

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Metalli pesanti, diossine, Ipa

Per quanto riguarda il monitoraggio dei contaminanti non biologici in tutti gli ambiti produttivi, mentre i metalli pesanti sono soggetti a controlli “nella maggior parte dei casi”, altri contaminanti chimici essenziali sfuggono loro, come gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), le diossine e i policlorobifenili (PCB).

Tempistiche sospette

L’indagine ha rilevato anche “classificazioni inadeguate delle zone di produzione” e misurazioni effettuate solo durante i periodi di raccolta, anche se la normativa imporrebbe i controlli a intervalli regolari. Questo, secondo la Commissione, comporterebbe che “Alcuni rischi non vengono identificati in modo tempestivo o contribuiscono a ritardare la risposta delle autorità competenti a tali rischi, il che indebolisce l’efficacia della supervisione”. E dunque, fatti male, i controlli “potrebbero non essere sufficienti a tutelare la salute dei consumatori”.

I rischi di epatite, salmonella e gastroenterite

Un’affermazione non da poco, considerando che un mollusco non sano può portare a patologie anche gravi come salmonella, epatite A e gastroenterite. Come ricorda Euractiv, secondo gli ultimi dati dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), nel 2021 in Europa sono stati registrati 141 casi di infezioni da norovirus a seguito del consumo di frutti di mare – principalmente molluschi.