I principali importatori di grano tenero ucraino sono Cina e Spagna mentre per il mais l’Italia è tra i principali destinatari. Ai paesi in via di sviluppo? Appena il 3%. Infondate le previsioni apocalittiche di fame nel mondo
Il presidente russo Vladimir Putin ha deciso di non rinnovare l’accordo Black Sea Initiative che consentiva il transito attraverso il mar Nero dei prodotti agricoli – grano tenero, mais e semi di girasole in primis – provenienti dall’Ucraina.
Le previsioni della maggior parte degli analisti prevedono l’inasprirsi della crisi alimentare nei paesi in via di sviluppo. Ma se guardiamo bene i flussi dell’export ucraino ci si rende conto che così non dovrebbe essere visto che solo il 3% delle circa 33 milioni di tonnellate di prodotti agricoli vengono destinati alle nazioni più povere.
Grano tenero in Cina, mais in Italia
Secondo i dati diffusi dal Centro Studi Divulga l’Italia, con il 6,3% complessivo sul totale delle esportazioni ucraine di prodotti agricoli, tra grano, mais e olio di girasole, è al quarto posto dietro Cina (24,3%), Spagna (18,3%) e Turchia (10%) tra i paesi che più hanno beneficiato del Black Sea Grain Initiative, l’accordo Onu tra i paesi in guerra che ha sbloccato i flussi commerciali dai porti ucraini.
Se poi restringiamo il campo al grano tenero troviamo in testa la Cina con circa 8 milioni di tonnellate di grano tenero importate dall’Ucraina, seguita dalla Spagna con 2,3 milioni tonnellate, Turchia (1,58 milioni di tonnellate), Bangladesh (1,1) e Italia (435mila tonnellate).
Dall’altro capo della top ten troviamo:
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- Kenya 385mila tonnellate;
- Etiopia 263mila tonnellate;
- Yemen 260mila tonnellate;
- Tunisia 222mila tonnellate.
Il nostro paese ha beneficiato sopratutto di mais per l’alimentazione animale. In Italia infatti sono arrivate in totale quasi 2,1 milioni tonnellate di prodotti, di cui il 65,7% è mais (1,3 milioni di tonnellate), il 21,1% pari a 435mila tonnellate è grano tenero mentre il 5% è olio di girasole (100mila tonnellate).
Lo spettro della fame, la realtà della speculazione
Secondo Fabio Ciconte, direttore dell’associazione ambientalista Terra! e autore del libro “L’ipocrisia dell’abbondanza. Perché non compreremo più cibo a basso costo” (Editori Laterza, 174 pagine, 17 euro), che abbiamo intervistato nel numero in edicola, la “guerra del grano” scoppiata in seguito all’invasione dell’Ucraina è emblematica: “Quello che è successo – ha spiegato a Lorenzo Misuraca – è una delle più grandi prese in giro della politica europea degli ultimi anni. Ci hanno fatto pensare che 25 milioni di tonnellate di cereali bloccati nei porti ucraini arrivassero a determinare una crisi alimentare globale e questo spettro ha determinato due cose. La prima, sbloccare questo grano con l’idea che i cereali andassero a finire ai paesi dell’Africa subsahariana, che erano quelli più in difficoltà. In realtà là ci è andato solo il 3% di quel carico, la restante parte è andata a finire in Italia, in Turchia, in Olanda, in Cina, cioè in quei paesi dove la produzione zootecnica è incredibile e quindi ha bisogno di quei cereali”.
La seconda cosa che è successa, secondo l’autore de “L’ipocrisia dell’abbondanza”, è che “questo paventare una crisi alimentare globale ha portato l’Europa a cominciare a riparlare di sovranità alimentare, a dire che dobbiamo essere autosufficienti dal punto di vista alimentare, anche se in realtà non c’era un vero pericolo di autosufficienza alimentare, di approvvigionamenti, di cereali. In sostanza, è servito a interrompere tutte le politiche ecologiche che stavano riguardando l’agricoltura, invocando il ritorno al produttivismo spinto”. Una scusa perfetta, insomma, per porre ostacoli alla direttiva per il regolamento pesticidi, alla strategia sulla biodiversità, al Farm to Fork e così via.
L’inflazione sale e la pagano i più poveri
È anche pur vero che la decisione di Putin innescherà una nuova possibile spirale inflattiva, alimentata dalla speculazione internazionale che userà la minor offerta di cereali ucraini per, ad esempio, giocare al rialzo con le quotazioni di altre derrate, a cominciare con il grano duro necessario alla produzione della pasta. E da qui, la già alta inflazione alimentare, continuerà a rimanere elevata. E a pagarne le spese saranno le fasce economiche più deboli, del nostro paese ma anche del resto del mondo.