Le differenze tra carcere duro, normale e 41 bis

41 BIS CARCERE DURO

Che cos’è il 41-bis e quando viene applicato: cosa prevede e in che cosa differisce dal regime carcerario ordinario. I reati per i quali si finisce al carcere duro e come questi sono mutati nel corso degli anni. Uno sguardo alle strutture abilitate al 41-bis in Italia e al numero dei detenuti in questa situazione.

Dai fatti della cattura del boss latitante di cosa nostra, Matteo Messina Denaro, e, soprattutto, dello sciopero della fame contro il carcere duro dell’anarchico Alfredo Cospito, in Italia si è riacceso il dibattito sul 41-bis. Si tratta di una disposizione dell’ordinamento penitenziario italiano prevista dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663, che si sostanzia in una carcerazione più rigida rispetto a quella normale e che ha il principale scopo di impedire che il detenuto, per il suo ruolo di spicco in un’organizzazione criminale, possono continuare ad avere rapporti con l’esterno. È, dunque, un regime carcerario molto duro, per molti perfino disumano, che limita i contatti del detenuto il quale è in isolamento pressoché continuo. Da qui, anche, il nome di carcere duro quando si parla di 41-bis.

41-bis: cos’è 

Fin dal momento della sua introduzione, il 41-bis è stato motivo di dibattito, con la Corte dei diritti umani di Strasburgo che ha in più occasioni sanzionato l’Italia a causa del fatto che, con questo regime carcerario, verrebbero violati molti diritti propri del detenuto. Per comprendere a pieno di cosa si parla quando si cita il 41-bis è necessario partire dal relativo articolo della legge sull’ordinamento penitenziario dal quale prende il nome. In base a quanto stabilito da questa norma, sono introdotte delle situazioni definite di emergenza per le quali è possibile limitare fortemente i diritti dei detenuti con il fine ultimo di garantire e ripristinare la sicurezza. Da tale assunto si deduce che il 41-bis non è una misura punitiva aggiuntiva, ma ha una ratio prettamente precauzionale, ovvero evitare che un detenuto pericoloso possa continuare ad esercitare anche dal carcere il proprio potere sull’esterno. Si cerca quindi di impedire il prosieguo dell’attività criminale e di tutelare la sicurezza degli altri detenuti e degli agenti di polizia penitenziaria. Al momento della sua introduzione, il carcere duro era stato pensato come una misura carceraria temporanea, ma di fatto ha mostrato in questi anni di avere delle applicazioni decisamente più drastiche.

Le origini del 41-bis

La prima volta che si è parlato di 41-bis è stato nel 1975, anno della sua introduzione. Come detto, la misura del carcere duro era stata pensata come temporanea e per essere rivolta solo ai criminali più efferati, con specifico riferimento a quelli che appartenevano ad ambiente della criminalità organizzata. Nel 1992, e dunque negli anni delle stragi e del maxi processo a cosa nostra, l’applicazione del 41-bis è stata estesa anche ai boss mafiosi e, dal 2002 – quando la norma è diventata definitiva – anche a chi ha commesso reati di terrorismo. Un passaggio molto importante nella storia del 41-bis è rappresentato da quanto avvenuto nel 1986 con la pubblicazione della legge 10 ottobre 1986, n. 663, la legge Gozzini. Nel suo unico comma si leggeva che il ministro della Giustizia aveva ed ha il potere sospendere le “normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati in casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza”. È solo l’inizio dell’iter che ha portato ad un ampliamento e alla strutturazione del 41-bis così come lo conosciamo oggi. Nel 1992, a seguito della strage di Capaci in cui hanno perso la vita il giudice antimafia Giovanni Falcone, sua moglie e la sua scorta, è stato pubblicato il decreto antimafia Martelli-Scotti, grazie al quale le porte del carcere duro vengono aperte anche ai detenuti reclusi per mafia e non più solo a chi si rende protagonista di rivolte in carcere. La norma é rimasta poi immutata per diverso tempo, fino al 2002, anno in cui si è deciso di estendere ancora di più l’applicazione: al 41-bis possono andare anche i detenuti che subiscono una condanna per terrorismo e altri reati. Ecco dunque spiegato il perché, oltre a Matteo Messina Denaro e ad altri affiliati e boss della criminalità organizzata, anche l’anarchico Alfredo Cospito è al 41-bis. In quest’ultimo caso, il detenuto deve scontare una pena cumulativa di 30 anni, 10 per la gambizzazione dell’ad di Ansaldo nucleare e 20 per un attentato – che non ha avuto vittime e ferite – alla scuola per Carabinieri di Fossano. Il passaggio al 41-bis è stato spinto dal fatto che Cospito, durante la detenzione ordinaria, inviava all’esterno delle lettere – poi pubblicate su delle riviste anarchiche – nelle quali inneggiava alla continuazione della lotta. Vi è, dunque, la volontà nel suo caso di interrompere i legami con il mondo esterno e interno al carcere. La durata del carcere duro è, solitamente, di 4 anni della pena da scontare, anche se può essere prorogato per altri periodi se i contatti con le associazioni criminali o terroristiche dovessero continuare. Oltre ad Alfredo Cospito, al 41-bis ci sono anche 729 detenuti, spesso in carcere per reati di terrorismo.

Le differenze con il regime ordinario

Caratteristica principale del regime carcerario del 41-bis è il totale isolamento e controllo del detenuto. In questo regime carcerario le celle sono occupate da una sola persona e i colloqui e le ore d’aria sono molto limitate. Le celle del 41-bis, nello specifico, contengono un letto, un tavolo e una sedia inchiodata a terra. Al suo interno il detenuto è controllato 24 ore su 24 e non possono esserci i suoi oggetti personali. Nella cella non possono entrare libri, riviste e giornali, salvo delle particolari concessioni che richiedono un lungo iter di approvazione. I contatti con l’esterno possono esserci soltanto una volta al mese ed avvengono con detenuto e visitatore che sono divisi da un vetro per evitare lo scambio di oggetti. L’unica eccezione, in tal caso, è rappresentata dai visitatori minori di 12 anni. La durata dell’incontro mensile è di massimo un’ora, con tutte le conversazioni che vengono ascoltate e video registrate dalle guardie carcerarie. Agli incontri possono presentarsi solo l’avvocato o i familiari conviventi (salvo specifiche deroghe). Anche le telefonate seguono la stessa modalità, e possono essere effettuate nella cadenza di una al mese. La corrispondenza è sottoposto alla censura da parte delle guardie carcerarie, con l’unica eccezione che è rappresentata dalle lettere scambiate con i membri del Parlamento o con ulteriori autorità nazionali o europee che hanno facoltà in materia di giustizia. Per quel che riguarda l’ora d’aria e la socialità all’interno del carcere, il detenuto ha solo due momenti – di un’ora ciascuno – per poter uscire dalla sua cella ed incontrare un gruppo limitato di altri carcerati (nel numero massimo di quattro persone), mentre i contatti con le guardie carcerarie sono ridotti al minimo indispensabile. Il detenuto al 41-bis, inoltre, perde la possibilità di partecipare fisicamente alle udienze, potendolo fare solo ed esclusivamente da remoto in videoconferenza. Inoltre, al carcere duro, il detenuto mantiene il diritto a ricevere le cure mediche e, ove indispensabile, ad essere trasferito in ospedale. Appare evidente che questo regime intacca fortemente la sfera dei diritti di una persona.

Per quali reati è previsto

Proprio per via delle durissime condizioni previste, il 41-bis, nella sua definizione attuale, viene applicato in presenza di specifici reati indicati proprio dall’articolo della legge penitenziaria in questione. Si tratta, naturalmente, di crimini considerati più gravi a livello legale con il carcere duro che può essere previsto per chi si macchia di reati:

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  • aventi finalità di terrorismo;
  • di associazione a delinquere di stampo mafioso;
  • commessi per agevolare l’attività delle associazioni mafiose;
  • di riduzione o mantenimento in schiavitù;
  • di sfruttamento della prostituzione minorile;
  • di tratta di persone;
  • di acquisto o alienazioni di schiavi;
  • di violenza sessuale di gruppo;
  • di sequestro di persona a scopo di rapina o estorsione;
  • di associazione a delinquere per contrabbando di tabacchi lavorati all’estero;
  • di associazione a delinquere per traffico di sostanze psicotrope o stupefacenti.

I numeri, le strutture e i detenuti in Italia

Per rendersi conto di come e quando venga applicato il 41-bis in Italia, può essere utile andare a vedere i numeri legati a questo regime carcerario, così come i reati per i quali i detenuti si trovano in questa condizione. In base ai ultimi dati diffusi dal ministero della Giustizia, all’inizio del 2016 i detenuti al regime del 41-bis erano in totale 729: 722 uomini e 7 donne. Il 20% di questi risponde dei reati appartenenti alla categoria degli atti terroristici di stampo politico, mentre ben l’80% deve rispondere di reati legati ad associazioni di stampo mafioso. La maggior parte, il 35%, sono esponenti  della camorra, seguiti da Cosa nostra con 203 persone e la ‘Ndrangheta con 210 affiliati. A novembre 2021 i detenuti al carcere duro erano 749, di cui 13 donne, con l’aumento dovuto al fatto che, nel 2020, sono state applicate 118 nuove disposizioni del carcere duro, ai quali si aggiungono 20 riapplicazioni di detenuti che sono tornati nel regime. Si era trattato di una riduzione negli ingressi al carcere duro, visto che, solo l’anno precedente, nel 2019, i nuovi detenuti destinati al 41-bis erano stati 161. Stime più recenti, invece, aggiornate al 31 ottobre 2022, riportano di 728 detenuti al 41 bis e, tra questi, solo 4 scontano una pena per reati di terrorismo (tra cui a che il sopracitato Alfredo Cospito).

Per la specialità delle detenzione, i detenuti al 41-bis devono essere ospitati in strutture che presentano delle caratteristiche ben precise e attrezzate per poter garantire il totale isolamento dei detenuti. In Italia le strutture abilitate ad ospitare chi è al carcere duro si trovano a:

  • Cuneo;
  • L’Aquila;
  • Marino del Tronto (Ascoli Piceno);
  • Opera (Milano);
  • Novara;
  • Parma;
  • Pisa (Centro Diagnostico Terapeutico);
  • Rebibbia (Femminile);
  • Rebibbia (Maschile);
  • Sassari;
  • Secondigliano (Napoli);
  • Spoleto;
  • Terni;
  • Tolmezzo (Udine);
  • Viterbo.

Matteo Messina Denaro è attualmente detenuto nel carcere di L’Aquila, mentre Alfredo Cospito è stato di recente trasferito ad Opera, Milano, per via delle sue gravi condizioni di salute. Queste due strutture sono quelle che in Italia ospitano il maggior numero di detenuti al 41-bis. A L’Aquila sono 152, mentre ad Opera sono 100, a Sassari ci sono 91 persone al 41-bis e a Spoleto 81. Secondo una recente relazione sullo stato della giustizia italiana, tra i detenuti al 41-bis ben 304 hanno ricevuto una condanna all’ergastolo e, per 204 di loro, si tratta di una sentenza definitiva.

Carcere duro, le questioni di legittimità

Il 41-bis, o carcere duro che dir si voglia, è fin dalla sua istituzione vittima di forti contestazioni. Chi lo critica lo fa sostanzialmente perché un carcere che si definisce come duro perderebbe la sua funzione costituzionale di rieducazione. E ancora, un’altra critica è che la severità della carcerazione punterebbe alla redenzione dei detenuti, spinti a collaborare solo perché in questo modo verrebbe meno l’applicazione del regime del carcere duro. Sul tema del 41-bis è intervenuta più volte anche la Corte costituzionale e la Cedu, Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sanzionando l’Italia. Entrambe hanno considerato il carcere duro italiano come legittimo, pur criticando fortemente alcune sue specifiche applicazioni.