Cosa contiene il latte in formula

LATTE FORMULA

L’allattamento al seno resta sempre il metodo migliore. Ma per chi non può farlo, l’alternativa al latte materno è il latte in formula. Ma cosa contiene? Ed è sempre sicuro?

Una premessa importante è d’obbligo. Ci sono svariate ragioni per prediligere, a qualsiasi alternativa, l’allattamento al seno. Le ragioni potrebbero essere così riassunte:

  • il latte materno si modifica, dal punto di vista qualitativo, sulla base della crescita del neonato. Il colostro (comunemente “primo latte”) verrà gradualmente sostituito dal latte definitivo;
  • l’allattamento al seno facilita l’interazione madre-bambino e, di conseguenza, l’instaurarsi delle prime relazioni d’attaccamento;
  • ha un impatto importante dal punto di vista immunitario;
  • ha un minor contenuto di caseina, che lo rende più digeribile rispetto a formulazioni alternative ed evita spiacevoli conseguenze come rigurgito e reflusso.

Ma a chiarire definitivamente ogni dubbio vi sono alcune analisi condotte dal Salvagente che hanno evidenziato la presenza, nel latte in formula, di micotossine. Nonostante le micotossine più tossiche, ovvero le aflatossine (come l’ocratossina) siano assenti, si è evidenziata la presenza di quelle che potrebbero essere definite “micotossine emergenti”. Si tratta di un gruppo di sostanze su cui, negli anni, si stanno concentrando studi sulla sicurezza al fine di individuarne rischi e limiti.

Come se ciò non fosse sufficiente, il latte in formula non è convincente neanche da un punto di vista nutrizionale. Le Linee guida in merito, da ultime quelle del Crea, concordano sul fatto che i neonati non dovrebbero consumare alimenti salati e zuccherati. Ma vediamo cosa contiene, invece, il latte in formula.

Latte in formula: cosa contiene

L’analisi sulle 18 formule di latte pubblicata nel settembre 2020 dal Salvagente procedendo essenzialmente in due modi:

-tramite la ricerca di micotossine (17 tipi)

Non conosci il Salvagente? Scarica GRATIS il numero con l'inchiesta sull'olio extravergine cliccando sul pulsante qui in basso e scopri cosa significa avere accesso a un’informazione davvero libera e indipendente

Sì! Voglio scaricare gratis il numero di giugno 2023

valutando ingredienti, nonché quantità di zucchero e sale, per ogni formula.

Come accennato, le analisi hanno escluso la presenza di aflatossine, classificate dall’Iarc come cancerogene. Tuttavia, molte sono le micotossine per le quali la legge non impone un limite di concentrazione ad esser state rilevate: α-Zearalenolo, Zearalenone, Enniatina, Zearalenone, Fusarenone-X, Neosolaniolo. Per ognuna di queste, come detto, non esistono ancora limiti: ciò è dovuto al fatto che gli studi di sicurezza non risultano completi e, di conseguenza, non è possibile stabilire un profilo di rischio. Ma una questione che ci si potrebbe porre è se viga o meno l’effetto cocktail: l’esposizione congiunta a più micotossine fa male?

E sebbene l’Efsa abbia diffuso tramite i suoi canali che ciò non deve destare preoccupazione, esistono limiti importanti agli studi sinora condotti.

In quanto agli ingredienti, ecco invece cosa rivelano le analisi.

Olio di palma

Il temuto olio di palma appare in ben 6 delle 18 formule analizzate: utilizzato dall’industria principalmente per motivi economici, sono passati già quattro anni da quando l’Efsa ne ha confermato la probabile cancerogenicità. Questa sarebbe imputabile principalmente alla presenza del 3-Mcpd, un contaminante da processo alimentare presente nell’olio di palma.

Olio di colza

Anche questo è uno di quegli ingredienti che non dovrebbe mai essere presente (ma talvolta lo è) nel latte in formula. A causa della presenza di acido erucico, l’ingestione di oli che ne contengono un’elevata quantità (come quello di colza) possono nel tempo condurre a malattie del cuore, tra cui la lipidosi del miocardio.

Zucchero

Una cosa è certa: la maggior parte del campione esaminato contiene fin troppo zucchero, fino ad 8.3 g per 100 ml di latte. Il dato è preoccupante, se solo si pensa che la quantità di latte nei primi mesi di vita tende a crescere fino ad arrivare al litro al giorno intorno ai 5 mesi, momento in cui il bambino inizia lo svezzamento con l’introduzione nella sua dieta di frutta. I rischi principali connessi ad un uso eccessivo di zucchero nel neonato sono obesità e carie. Le Linee guida, in proposito, suggeriscono di non aggiungere zucchero alle pappe del lattante, poiché questo contribuisce a determinare abitudini alimentari che il bambino difficilmente abbandonerà in seguito.

Sale

Anche questo ingrediente dovrebbe essere bandito, ma è presente nelle formule esaminate seppur in modeste quantità. Il consumo di sale nei lattanti è considerato critico dal Crea, dal momento che esiste una relazione significativa tra una precoce esposizione al sale e rischio di ipertensione e obesità negli anni successivi.

La ricerca del professor Alberto Ritieni: antinfiammatori nel latte

In seguito al discusso test su 21 campioni di latte Uht, che aveva evidenziato la presenza in tracce di alcuni farmaci a uso veterinario, il professore Alberto Ritieni dell’Università Federico II di Napoli ha proseguito con uno studio destinato ad una pubblicazione scientifica. Lo studio di partenza è quello condotto insieme ai colleghi dell’università di Valencia, pubblicato sul Journal of Diary Science e condotto su 56 campioni di latte fresco e Uht. Oggetto di ricerca era la presenza di 24 farmaci veterinari e 26 micotossine. I risultati hanno evidenziato, in quella sede, la presenza di antibiotici, corticosteroidi e antinfiammatori. A partire da queste premesse il professore si è premurato di dar vita alla naturale prosecuzione della prima ricerca che si prefigge lo scopo di analizzare, utilizzando la stessa metodologia, 18 campioni anonimi di latte in formula dal mercato.

I risultati sono stati scoraggianti, dal momento che in 4 campioni le analisi hanno evidenziato la presenza di residui di farmaci normalmente utilizzati in zootecnia.

In particolare è stata rilevata la presenza di desametasone, un corticosteroide utilizzato per curare gli stati infiammatori negli animali. Un’importante precisazione riguarda i Lrm, cioè i valori massimi ammessi di residui perché le sostanze non presentino effetti tossici. Purtroppo, le analisi in questione hanno rilevato la presenza di desametasone in quantità superiore rispetto ai limiti consentiti. Il tutto appare più preoccupante se si pensa che tali formulazioni sono destinate proprio ai bambini, la cui microflora intestinale è ancora immatura e le cui capacità di metabolizzare agenti tossici sono poco sviluppate.

Perché nessuna formula può sostituire l’allattamento

Come affermato da Guglielmo Salvatori, neonatologo al Bambino Gesù di Roma: “Il latte di mamma è considerato un vero e proprio tessuto vivo che contiene,in maniera completa e bilanciata, tutti i nutrienti necessari per ottenere una buona crescita e un normale sviluppo del bambino nei primi mesi di vita. Al suo interno vi sono numerose sostanze, alcune delle quali ben studiate e altre con funzioni non ancora ben note, che contribuiscono, combinando e integrando la loro azione, a renderlo unico e inimitabile”.

“Il latte materno protegge dalle malattie e questo è un dato sul quale ormai non vi sono dubbi” continua Salvatori. Tra le condizioni normalmente sfavorite da un allattamento al seno vi sono, ad esempio, le allergie. Il latte materno non contiene infatti beta-lattoglobulina, la proteina più frequentemente responsabile dell’allergia al latte di mucca nei bambini. Ma effetti analoghi si hanno sulle infezioni respiratorie delle basse vie aree, quelle con maggior prevalenza nei bambini e che risultano 3 volte meno frequenti negli allattati al seno; in quanto alle infezioni dell’apparato gastrointestinale, gli allattati al seno ne manifestano 17 meno.

Dati simili si ottengono con le infezioni delle vie urinarie, a carico dell’orecchio (otiti) e meningite. Il ruolo protettivo del latte materno diventa ancora più prominente nei nati prematuri, cioè i piccoli nati prima della 37° settimana di gestazione, che sono maggiormente a rischio di ammalarsi gravemente. Il motivo è semplice: il latte materno è ricco di anticorpi IgA, che hanno un ruolo importante nella difesa dalle infezioni. Inoltre, il latte materno presenta alcuni zuccheri caratteristici non presenti nel latte in formula, tra cui oligosaccaridi e glicoproteine.
In aggiunta a questo, pare che l’allattare al seno sia vantaggioso in termini di salute anche per le mamme e per una serie di ragioni:

  • in primo luogo, riduce il sanguinamento dopo il parto grazie all’azione dell’ossitocina;
  • in ragione della produzione dello stesso ormone, riduce anche il rischio di contrarre un tumore maligno alle ovaie e alle mammelle.

Ma nonostante le ragioni per convergere sull’uso del latte materno siano molte, i dati Istat raccontano uno scenario differente. Pare che nei primi giorni di vita circa il 90% delle donne inizi ad allattare al seno, ma che intorno al quarto mese l’allattamento esclusivo crolli al 31%. Soltanto il 10% delle mamme, poi, continua ad allattare il bambino oltre i sei mesi.

Lo smodato ricorso al latte in formula: il ruolo del mongering

Se l’allattamento materno ha così tanti vantaggi, potrebbe essere spontaneo chiedersi cosa conduca sempre più donne a ricorrere al latte in formula. Alla base del fenomeno si trova sicuramente il mongering, una tecnica di marketing che potrebbe essere tradotta in “inventare malattie per farne commercio”.

Di questa tecnica esistono evidenze già nel 1867: correva quell’anno quando Henri Nestlé disse di aver salvato la vita a un neonato prematuro, la cui madre era gravemente ammalata e non in grado di allattare il figlio, con “un latte svizzero intero e un’aggiunta di cereali cotti al forno con un procedimento speciale di mia invenzione”, un prodotto che egli stesso denominò farina lattea. L’anno seguente Henri Nestlé dovette aprire un ufficio a Londra per gestire ordini in costante aumento e, nel giro di cinque anni, esportava in Australia e Sud America. Nel 1874 vendette la sua compagnia per un milione di franchi svizzeri. La Nestlé continuò a espandere e diversificare il suo mercato fino a diventare quella che oggi conosciamo: la più grande multinazionale del food e sicuramente la prima nel settore degli alimenti per lattanti.
Questo (ma se ne potrebbero citare molti altri) è un esempio classico di mongering, una situazione in cui si enfatizza un problema offrendo false soluzioni. Ma, soprattutto, ci si rivolge anche a persone che non hanno alcun tipo di problema nel far ricorso all’allattamento al seno, allo scopo di “vendere ai sani”.

E se si analizzasse ancora il ruolo del marketing nel ricorso massiccio al latte in formula, si troverebbe che gran parte delle scelte del nostro secolo sono orientate proprio dalla pubblicità. Uno studio osservazionale condotto in 8 città del Nord Italia è esemplificativo di questo concetto, ed è rivolto principalmente al valutare la sottile differenza esistente tra pubblicità dei sostituti del latte materno destinati alla prima infanzia (il latte 1, di cui la promozione commerciale è vietata) e il latte di proseguimento (formula 2). I risultati hanno permesso di dimostrare che, non soltanto le donne credono di aver già visto pubblicità del latte 1 (forse troppo simile?), ma anche non sono in grado di percepire la differenza tra questo e il latte di proseguimento.

Come favorire l’allattamento al seno: dieci passi

Alla base di un ridotto ricorso all’allattamento al seno vi sono ragioni di vario ordine. Oltre al mongering, un ruolo importante è giocato dalle resistenze culturali, che spesso ancora limitano la pratica negli ambienti esterni. Ma come favorire l’allattamento al seno? Ecco una guida in 10 passi:

1. definire un protocollo scritto per l’allattamento al seno da far conoscere a tutto il personale sanitario

2.preparare tutto il personale sanitario per attuare compiutamente questo protocollo

3.informare tutte le donne in gravidanza dei vantaggi e dei metodi di realizzazione dell’allattamento al seno

4.mettere i neonati in contatto pelle a pelle con la madre immediatamente dopo la nascita per almeno un’ora, ed incoraggiare le madri a comprendere quando il neonato è pronto per poppare, offrendo aiuto se necessario

5.mostrare alle madri come allattare e come mantenere la secrezione lattea anche nel caso in cui vengano separate dai neonati

6.non somministrare ai neonati alimenti o liquidi diversi dal latte materno, tranne che su precisa prescrizione medica

7.sistemare il neonato nella stanza della madre (rooming-in), in modo che trascorrano insieme ventiquattr’ore su ventiquattro durante la permanenza in ospedale

8.incoraggiare l’allattamento al seno a richiesta tutte le volte che il neonato sollecita nutrimento

9.non dare tettarelle artificiali o succhiotti ai neonati durante il periodo dell’allattamento

10.promuovere la collaborazione tra il personale della struttura, il territorio, i gruppi di sostegno e la comunità locale per creare reti di sostegno a cui indirizzare le madri alla dimissione dall’ospedale.