Contro la fast fashion si impone la moda green: ma non tutti i tessuti ecosostenibili rispettano le promesse
Iniziare dalla conoscenza dei materiali è sicuramente un ottimo modo per avvicinarsi alla moda green, dal momento che ogni tessuto è composto di fibre il cui ciclo di vita richiede diverse risorse, ognuna delle quali ha un certo impatto ambientale: dalla coltivazione alla produzione, passando per i trattamenti cui viene sottoposta, fino alle procedure di smaltimento.
Da ciò consegue che ogni tessuto, anche il più naturale, può diventare non-sostenibile se trattato con sostanze tossiche.
Come sostenuto da Laura Fiesoli, che di recente ha inaugurato la Textile Library, archivio che documenta l’innovazione e la sostenibilità dei tessuti contemporanei, tutti i tessuti naturali vegetali sono sostenibili soltanto potenzialmente. Il modo per renderli davvero ecologici è coltivarli biologicamente, evitando pesticidi o sostanze chimiche per la macerazione.
Analogamente, anche il tessuto più “innaturale” può essere considerato sostenibile se riciclato. La stessa Fiesoli sottolinea: “Il riciclo oggi è un concetto che si estende anche alle fibre sintetiche come poliestere da Pet e nylon (incluso quello recuperato da reti da pesca)”.
Altra importante questione riguarda l’impatto di certi tessuti che, seppur minimo dal punto di vista dell’ambiente, è elevato sul versante sfruttamento animale. Esistono ovviamente formule cruelty-free o etiche degli stessi tessuti, così come esistono materiali innovativi derivati dagli scarti.
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La lista di seguito cerca di individuare alcuni tessuti eco-sostenibili, individuandone punti di forza e criticità, e analizzati sulla base dei dati resi disponibili da Sustain your Style e Good on You.
Lino
Tessuto naturale proveniente dall’omonima pianta, il lino è considerato sostenibile perché la sua coltivazione richiede pochissime risorse rispetto, ad esempio, al cotone. Sicuramente raggiunge l’eccellenza in ambito di ecosostenibilità se proviene da agricoltura biologica. La fibra che si ricava da questa pianta permette di tessere un materiale resistente, durevole e piacevole da indossare. Nel valutare il suo grado di sostenibilità, è opportuno tener presente il modo in cui il tessuto viene trattato e tinto: per essere sicuri, è sempre meglio optare per la tela naturale, la cui palette vira dall’avorio all’ecru.
Canapa
Nonostante la sua filiera stia decadendo, la coltivazione della canapa ha un impatto ambientale molto basso. Cresce velocemente, richiede poche risorse e non esaurisce i terreni in cui viene coltivata per molti anni. Il tessuto che se ne ricava è molto simile al lino, anallergico, fresco, morbido e durevole. Anche in questo caso, la coltivazione bio è da privilegiare.
Cotone biologico
Ricavato dalla bambagia che avvolge i semi di una pianta particolare, Gossypion, per essere considerato sostenibile deve provenire da agricoltura biologica. La produzione globale di cotone, ad oggi, è tutto fuorché green. Ciò è dovuto all’abbondante utilizzo di pesticidi e fertilizzanti, al copioso utilizzo di acqua e alle coltivazioni Ogm.
Lana sostenibile
La questione sull’utilizzo della lana è spesso controversa, dal momento che spesso l’allevamento delle pecore dalle quali si ricava è spesso poco eco-friendly. Infatti, i terreni adibiti al pascolo sono frequentemente sfruttati in maniera intensiva, in modalità overgrazing, e portano alla desertificazione di ampie aree. La criticità riguarda però anche il benessere animale, raramente garantito. L’unica via per cui la lana possa essere considerata sostenibile è qualora provenga da una filiera certificata. Una delle certificazioni più utili in tal senso è Responsible Wool.
Lyocell
Protagonista di diverse collezioni sostenibili da svariati anni, il lyocell proviene dalla cellulosa. Ma, a differenza di questa, viene ottenuto tramite un processo “pulito” che prevede l’utilizzo di sostanze chimiche a circuito chiuso, o il loro riutilizzo in loop.
Talvolta noto sotto la dicitura Tencel, la sua materia prima è certificata.
Tessuti sintetici riciclati
Come detto, anche i tessuti sintetici possono essere sostenibili se provengono dal riciclo. Questo è il caso del poliestere, del nylon, degli acrilici, che anziché finire in discarica vengono riutilizzati e rimessi in circolazione (con conseguenti notevoli vantaggi ambientali). Rimangono comunque fibre non biodegradabili e inquinanti, ma proprio questo è il motivo per cui andrebbero riciclate e utilizzate all’infinito.
Tessuti derivati dagli scarti
Un ruolo di spicco nella moda green è certamente occupato dall’upcycling, quel processo tramite cui si utilizzano gli scarti della creazione di un prodotto per dar vita ad uno nuovo.
In quest’ambito si collocano alcune tipologie innovative di tessuti, derivati dagli scarti, che presentano un ridotto impatto ambientale pur mantenendo le loro caratteristiche di eleganza e indossabilità.
Tra questi nuovi tessuti è possibile citare:
- Orange Fiber: dal 2014, si occupa di produrre tessuti sostenibili per la moda a partire da sottoprodotti della spremitura delle arance;
- Milk Fiber: la “fibra di latte” che ha letteralmente invaso l’eco-fashion infantile, grazie al suo essere 100% ecosostenibile e ipoallergenica;
- Piñatex: tessuto naturale realizzato con fibra di foglie di scarto di ananas, è sostenibile e cruelty free;
- Econyl: riutilizza in modo sostenibile gli scarti plastici, con processi di lavorazione a basso impatto ambientale;
- Apple Skin: alternativa ecologica promossa dall’azienda Frumat, recupera circa 30 tonnellate di scarti di mese al mese dalle aziende del territorio trentino.
Perché abbandonare la fast fashion?
Alla base dell’enorme preoccupazione nei confronti della fast fashion vi sono alcuni dati preoccupanti. Si stima che l’industria tessile e dell’abbigliamento abbia utilizzato 79 miliardi di metri cubi di acqua nel 2015, e che per la produzione di una sola maglietta di cotone occorrano circa 2.700 litri di acqua dolce, volume pari a quanto una persona dovrebbe bere in 2 anni e mezzo. Si stima che la produzione tessile sia responsabile di circa il 20% dell’inquinamento globale. Basta pensare al fatto che il lavaggio di indumenti sintetici è responsabile del 35% del rilascio di microplastiche primarie nell’ambiente. Per non parlare, poi, delle emissioni globali di carbonio: secondo l’Agenzia europea dell’ambiente gli acquisti di prodotti tessili nell’Ue nel 2017 hanno generato circa 654 kg di emissioni di CO2 per persona. Questi ed altri dati hanno condotto a ripensare al settore del tessile tenendo conto dei principi di circolarità, che devono essere applicati a tutte le fasi di una catena del valore, dalla progettazione alla produzione, lungo la filiera e sino al consumatore.
Il Gots: Global Organic Textile Standard
Riconosciuto a tutti gli effetti come il più importante standard internazionale per la produzione sostenibile di indumenti e prodotti tessili, realizzati con fibre naturali da agricoltura biologica, il Gots si propone il fine di garantire lo sviluppo responsabile e sostenibile nel settore tessile. Il Gots prevede il rilascio di una dichiarazione ambientale verificata da parte terza, che attesta:
– il contenuto di fibre naturali da agricoltura biologica dei prodotti, sia intermedi che finiti;
– il mantenimento della tracciabilità lungo l’intero processo produttivo;
– le restrizioni nell’uso dei prodotti chimici;
-il rispetto dei criteri ambientali e sociali in tutte le fasi della filiera produttiva, dalla raccolta in campo delle fibre alle successive fasi manifatturiere, fino all’etichettatura del prodotto finito.
Una certificazione Gots garantisce quindi:
- prodotti che contengano almeno il 70% delle fibre naturali da agricoltura biologica, quali fibre, filati, tessuti, abbigliamento, accessori tessili, giocattoli tessili, biancheria per la casa, materassi e biancheria da letto, nonché prodotti per la cura della persona (salviette struccanti, assorbenti etc.)
- attività manifatturiere, quali tintura o stampa, svolte per conto di terzi, che siano fornite da parte di operatori che abbiano adottato a loro volta modelli e procedure gestionali conformi ai requisiti richiesti;
- prodotti chimici utilizzati nella lavorazione dell’industria tessile che siano conformi ai requisiti richiesti, tramite opportuna valutazione, basata sulla verifica delle caratteristiche tossicologiche ed ecotossicologiche.
L’iter di certificazione prevede 4 fasi principali:
1.Una valutazione preliminare: consiste in una valutazione iniziale dei prodotti e del processo produttivo, che prevede la valutazione della composizione dei prodotti, la conformità di materie prime biologiche e fornitori, nonché l’idoneità dei prodotti chimici impiegati nei processi manifatturieri.
2.Una verifica ispettiva: è volta ad accettare l’effettiva conformità dei prodotti ai criteri Gots, la corretta organizzazione e gestione dei processi di fabbricazione e delle procedure interne, suscettibili di compromettere la conformità del prodotto ai requisiti definiti nello standard. Viene valutato, a questo livello, anche il rispetto dei criteri ambientali e sociali.
3.Emissione del certificato di conformità: una volta che le due fasi precedenti siano state superate, viene rilasciato un certificato sulla base delle informazioni e dei dati raccolti nell’ambito dei processi di valutazione e verifica, che riporta l’elenco dei prodotti e dei processi certificati.
4.Sorveglianza: il Gots si occupa anche di una sorveglianza annuale, ovvero di periodiche ispezioni presso le unità produttive e i centri di magazzinaggio e distribuzione dei prodotti, al fine di verificare il mantenimento a lungo termine delle condizioni di conformità.