I mono e digliceridi degli acidi grassi, in etichetta indicati con la sigla E471, rendono il gelato e gli impasti del pane più morbidi, emulsionano i grassi e costano poco. Per questo sono molto utilizzati dalle industrie alimentari. Ma possono essere l’origine di più di un rischio per la salute
In etichetta sono indicati con la sigla E471. Nei cibi che mangiamo sono tra gli 11 grammi di additivi alimentari che consumiamo quotidianamente, senza spesso rendercene conto. L’E471, i mono e digliceridi degli acidi grassi, sono additivi alimentari composti di digliceridi e monogliceridi. Usati come emulsionanti, sono prodotti principalmente da oli vegetali, in particolare (e non solo) dall’olio di soia. Ma si ricavano anche dai grassi animali.
Oltre che per impedire che si separino i grassi di creme, grassi, gelati, salse, hanno anche funzione stabilizzante, antiossidante per il cibo, gelificante, conservante e di supporto per i coloranti impiegati nella lavorazione dei cibi dell’industria alimentare.
Dove si trova l’E471
Tracce di mono e digliceridi degli acidi grassi si possono ritrovare in molti alimenti, a cominciare da quelli più consumati, come il pane comune, il riso a rapida cottura, i dessert, i gelati confezionati, gli oli e grassi animali o vegetali.
L’organismo umano li metabolizza come grassi, ma sugli effetti collaterali negativi per la salute dell’uomo il dibattito è ancora in corso.
L’unica certezza è che la dose quotidiana consigliata è di 125 milligrammi per ogni chilogrammo di peso corporeo.
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L’additivo più economico
Le ragioni del largo impiego da decenni di additivi come i mono e digliceridi degli acidi grassi sono innanzitutto di ordine economico. Questo emulsionante piace alle industrie alimentari perché è un’alternativa più economica all’impiego di olio vegetale e grassi animali.
Inoltre, come detto, l’E471 ha effetti stabilizzanti, aumentando la durata di conservazione dei prodotti, senza comprometterne densità e consistenza.
Dove si trovano i mono e digliceridi degli acidi grassi
Li ritroviamo in tantissimi alimenti: gelati, prodotti caseari, maionese, margarina, oli vegetali manipolati, dolci popolari come muffin e torte, crackers e biscotti, salse pronte e creme, cioccolatini. In generale compaiono nei prodotti ad alto contenuto di grassi, consistenti e attraenti, ma anche nei cibi per l’infanzia.
L’Ue chiede li assolve ma chiede più limiti
Nel 2021 l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha diffuso un parere sulla rivalutazione dei mono- e dei digliceridi degli acidi grassi (E 471), su richiesta della Commissione europea.
Si è ritenuto che non vi siano indicazioni di effetti negativi derivanti dagli studi sugli animali sottoposti alla dose più elevata testata.
Inoltre, è stato effettuato un confronto tra l’esposizione giornaliera alla somma di mono- e di-acilgliceroli dal latte materno e quella risultante dall’uso di E471 nella formula per lattanti. Il gruppo di esperti ha concluso che non vi sono motivi di preoccupazione per la sicurezza. Tuttavia, la valutazione del rischio per gli altri elementi tossici e le altre impurità presenti, come arsenico, piombo, cadmio e mercurio, hanno indicato chiaramente la necessità di abbassare gli attuali limiti massimi per l’E471.
Perché bisogna fare attenzione all’E471
Al di là delle cautele comunitarie, queste sostanze, a differenza delle lecitine, non sono innocue per la salute e le troviamo nei prodotti alimentari in svariate forme, come ad esempio gli esteri acetici, lattici, citrici e tartarici; forme diverse che servono per adattare l’additivo ai vari ingredienti e alle differenti condizioni operative di produzione.
Scomponiamo il loro nome per capire di cosa si tratta.
Da un lato gli acidi grassi sono delle catene idrocarburiche “apolari” (quindi che si sciolgono nei grassi) con una terminazione polare. Dall’altro il glicerolo (da cui gliceridi), un alcol, che in virtù della sua natura polare lega a sé le suddette terminazioni degli acidi grassi, così da formare una molecola stabile che presenta due regioni diverse, una solubile in acqua e una nei grassi; un emulsionante appunto.
Il glicerolo ha tre siti disponibili per accogliere il legame con gli acidi grassi e quando tutte e tre le posizioni sono occupate si parla di trigliceride. Altrimenti di digliceride o monogliceride.
Come avviene per i trigliceridi, così anche per questi analoghi, dobbiamo fare molta attenzione, perché possono essere dannosi per la salute, specialmente in caso di dislipidemie (ossia aumento di colesterolo o trigliceridi nel sangue).
Inoltre, usati come additivi in prodotti sottoposti a processi industriali con alte temperature di esercizio, possono dare origine ai famigerati grassi “trans” che irrigidiscono le membrane cellulari, comprese quelle dei neuroni, mettendo così a rischio l’intero sistema nervoso.
Senza contare che ci sono numerosi studi condotti su questi additivi che attestano effetti negativi sulla normale crescita e sulla salute del fegato, dei reni e dell’apparato riproduttore.
Questi mono e digliceridi (in etichetta E471 o E472 nel caso degli esteri) sono largamente usati per via della loro economicità e soprattutto per la capacità di standardizzare il gusto, neutralizzando sapori e odori sgradevoli. Vengono prodotti dall’industria con la sintesi chimica a partire da matrici animali (grassi di colatura e di scarto della macellazione), vegetali (scarti dell’industria olearia), ma anche, dalla filiera del petrolio (glicerolo).
La sola indicazione E471 o il nome per esteso, purtroppo, non danno alcuna informazione sulla tipologia di acidi grassi che compongono la molecola. Non c’è modo, dunque, di distinguere quelli “idrogenati”, estremamente utili per un’ulteriore funzionalità conservante, ma al contempo altamente nocivi per la salute, in quanto precursori di grassi “trans”.
Altro aspetto non rilevabile dalla dicitura in etichetta è l’origine animale o vegetale; informazione utile per chi voglia un prodotto completamente vegano e non ha alcun elemento per fare una scelta informata.
Attenzione ai “miglioratori” del pane
Negli anni passati si sono imposte altre alternative, rivelatesi “scorciatoie” nella produzione del pane. Sono spuntati “miglioratori” del pane di ogni tipo, tuttavia spesso impiegati per “nascondere” la scarsa qualità delle farine.
“Se da un punto di vista tossicologico queste sostanze non creano grandi problemi – osservava nel 2016 il professor Giangaetano Pinnavia a il Salvagente – è chiaro che influiscono negativamente sulle proprietà organolettiche del pane”. Prendiamo i mono e digliceridi degli acidi grassi che sono degli emulsionanti che consentono un miglioramento dell’impasto (lo rendono più compatto), soprattutto se è stato fatto con una farina con scarso valore proteico.
Un’altra aggiunta molto “gettonata” è l’acido ascorbico che migliora le performance del glutine e permette un corretto sviluppo in volume dell’impasto in cottura. “Il ricorso all’acido ascorbico – faceva notare il professor Pinnavaia – sopperisce spesso l’uso di farine con scarso apporto proteico”.
Il problema delle etichette e della trasparenza
Il primo studio realizzato per chiarire la natura degli enzimi nei miglioratori è stato pubblicato sulla rivista internazionale Food Research International (Qui per consultarlo). Uno degli esperti di questa ricerca, Gianluca Picariello, ha sollevato un problema di etichetta. Il legislatore dovrebbe imporre l’obbligo della dichiarazione in etichetta della natura di questi “miglioratori” utilizzati negli impasti per pane e non solo. Anche nei formaggi. Purtroppo non è previsto l’obbligo di indicazione che specifichi se queste sostanze sono di origine microbica, vegetale o animale.