Cos’è la toxoplasmosi e quali sono i rischi per la salute

TOXOPLASMOSI

La toxoplasmosi comporta notevoli rischi per la gravidanza e può essere letale per il bambino o gli immunodepressi. Si può prevenire nei comportamenti quotidiani e attraverso l’igiene accurata. E i gatti domestici non sono più un rischio elevato

Può esserci una relazione tra la diffusione delle microplastiche nelle acque e la circolazione del parassita toxoplasma gondii? Secondo uno studio dell’Università Davis, in California, sembrerebbe di sì. I risultati sono stati diffusi in un recente articolo su Nature e, tra i tanti danni provocati dalla plastica in mare, vi è anche il rischio di incontrare questo microrganismo che causa la toxoplasmosi.

I ricercatori hanno studiato tre patogeni: il Toxoplasma gondii, il Cryptosporidium e la Giardia. Questi parassiti colpiscono le specie marine e in un viaggio di ritorno, attraverso l’alimentazione o la contaminazione, arrivano nell’organismo umano, causando malattie gastrointestinali che, nel caso della toxoplasmosi, possono essere anche mortali nei bambini piccoli (compromette la gravidanza) e negli immunodepressi.

Il lavoro va fatto a monte: bisogna impedire che le microplastiche raggiungano oceani, fiumi e mari. Bisogna adottare valide misure igieniche nei comportamenti, migliore la gestione dei rifiuti provenienti dalle industrie della plastica e dai cantieri, utilizzare filtri per lavatrici e asciugatrici, costruire più bacini di raccolta e filtraggio dell’acqua piovana.

Cos’è la toxoplasmosi

La toxoplasmosi è una zoonosi causata dal microrganismo parassita denominato Toxoplasma gondii. Per zoonosi si intendono quelle infezioni o malattie che possono essere trasmesse direttamente o indirettamente tra gli animali e l’uomo, ad esempio attraverso il consumo di alimenti contaminati o il contatto con animali infetti.

Tra i microorganismi patogeni più diffusi nell’ambito delle zoonosi, oltre al Toxoplasma gondii, ci sono Cryptosporidium spp., Salmonella spp., Campylobacter spp., Giardia lamblia, Rhodococcus equi, Bartonella spp., Mycobacterium marinum, Bordetella bronchiseptica, Chlamydia psittaci.

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L’Istituto superiore di sanità (Iss) illustra il ciclo vitale del Toxoplasma come estremamente complesso e diverso a seconda dell’ospite. Il parassita può infettare moltissimi animali (dai mammiferi agli uccelli, dai rettili ai molluschi) e può trasmettersi da un animale all’altro attraverso l’alimentazione con carne infetta. Il Toxoplasma condii non si trova solo nella carne, ma anche nelle feci di gatto e nel terreno in cui abbia defecato un gatto o un altro animale infetto.

A tutto questo, ora si aggiunge il sospetto che il Toxoplasma possa arrivare anche dalle microplastiche che finiscono nei mari, e che poi il mare stesso restituisce all’uomo.

Quali sono i sintomi della toxoplasmosi

Nell’infezione da Toxoplasma gondii è possibile distinguere due fasi successive:

  • Fase 1 (detta toxoplasmosi primaria)

Questa fase è caratterizzata da un periodo di settimane o mesi in cui il parassita si può ritrovare nel sangue e nei linfonodi in forma direttamente infettante. È la fase sintomatica della toxoplasmosi, che si accompagna a ingrossamento delle linfoghiandole, stanchezza, mal di testa, mal di gola, senso di “ossa rotte”, a volte febbre e ingrossamento di fegato e milza.

I sintomi più gravi della toxoplasmosi

La fase primaria può devolvere in sintomatologie più gravi. Il Toxoplasma può così procurare una infiammazione della zona visiva dell’occhio (corioretinite, che può compromettere la vista) e dell’encefalo.

Il soggetto che contrae una toxoplasmosi resta protetto per tutto l’arco della vita da recidive, perché risponde all’infezione con produzione di anticorpi e linfociti specifici.

  • Fase 2 (toxoplasmosi postprimaria)

La risposta del soggetto al Toxoplasma gondii determina il passaggio alla seconda fase della toxoplasmosi (toxoplasmosi postprimaria), caratterizzata dall’assenza di segni clinici e di laboratorio dell’infezione acuta, ma con la persistenza del parassita nell’organismo, “incistato” nei muscoli e nel cervello. Se le difese immunitarie vengono meno (sia per malattia, sia per trattamenti medici), il microrganismo può tornare aggressivo, riprodursi e indurre nuovi danni.

I rischi della toxoplasmosi

La toxoplasmosi espone a elevati rischi per la salute soprattutto alcuni soggetti, quali:

  • Malati di Aids e soggetti trapiantati

Questo perché il parassita si può manifestare anche con sintomi attribuibili a una malattia autoimmune. Questa eventualità è frequente appunto nei malati di Aids o nei soggetti trapiantati, per i quali spesso l’evoluzione è drammatica, perché la risposta alla terapia è insufficiente.

  • Donne in stato di gravidanza

La toxoplasmosi è ad alto rischio nel caso in cui venga contratta in gravidanza: l’infezione può infatti passare al bambino attraverso la placenta, provocando in determinate circostanze malformazioni o addirittura l’aborto o la morte in utero. La toxoplasmosi rappresenta dunque un importante elemento di cui tenere conto nell’ambito della salute materno-infantile.

Come si contrae la toxoplasmosi

Dagli anni Duemila a oggi sono stati diffusi diversi studi per definire meglio il percorso del parassita e agire sul piano della prevenzione. L’Iss ne cita uno che ha coinvolto diversi centri in Europa, tra i quali anche due centri italiani (uno a Napoli e uno a Milano), pubblicato sul British Medical Journal nel 2000. Questa ricerca indica tra le principali fonti di infezione nelle donne gravide il consumo di carne poco cotta. Dunque, la toxoplasmosi si contrae principalmente attraverso:

  • L’alimentazione

Dai risultati dello studio sul British Medical Journal (BMJ) emerge infatti che i fattori di rischio principali sono legati all’alimentazione (dal 30 al 63% dei casi dovuti all’assunzione di carne poco cotta).

  • La cura degli orti e dei giardini (arriva tramite feci animali)

Lo stesso studio evidenzia che un’altra importante fonte di contaminazione è rappresentata dalla manipolazione della terra degli orti e dei giardini, dove animali infetti possono aver defecato.

  • I gatti domestici non sono più un rischio elevato

Negli ultimi anni si è ridimensionata l’attenzione nei confronti del gatto come portatore della malattia, in particolare se si tratta di un gatto domestico, alimentato con prodotti in scatola e la cui lettiera è cambiata tutti i giorni (le cisti del parassita si schiudono dopo tre giorni a temperatura ambiente e alta umidità). Il vero serbatoio della toxoplasmosi è invece rappresentato dai gatti randagi, che si infettano cacciando uccelli e topi contaminati, e che possono defecare nel terreno rilasciando Toxoplasma anche per diverse settimane.

Come prevenire la toxoplasmosi

Non essendoci un vaccino disponibile, la prevenzione della toxoplasmosi è soprattutto nei comportamenti quotidiani. Ecco come prevenirla:

  • Evitare di assaggiare la carne mentre la si prepara e durante la cottura;
  • Bisogna lavarsi molto bene le mani sotto acqua corrente dopo aver toccato la carne durante la preparazione;
  • Ortaggi e frutta fresca devono essere lavati accuratamente sotto acqua corrente;
  • Chi svolge attività di giardinaggio deve lavarsi molto bene le mani prima di portarle alla bocca o a contatto con la mucosa degli occhi.

Toxoplasmosi: cosa fare quando si è in gravidanza

È importante la consapevolezza dei sintomi da toxoplasmosi quando si è in gravidanza. Nel caso in cui la donna dovesse essere contagiata durante la gravidanza, è possibile bloccare la trasmissione dell’infezione al bambino attraverso un trattamento antibiotico mirato. I medici suggeriscono un trattamento con spiramicina, un antibiotico ben tollerato sia dalla madre che dal feto.

Una revisione dei lavori scientifici pubblicati sul BMJ, sulle prove di efficacia della terapia in gravidanza della toxoplasmosi, evidenzia la difficoltà di produrre una stima dell’efficacia del trattamento per la scarsità di studi randomizzati confrontabili.

Inoltre uno studio multicentrico del 1999 a cura di J. Obstet ha dimostrato che esistono combinazioni antibiotiche più efficaci (pirimetamina e sulfadiazina) almeno nell’impedire la comparsa di postumi all’anno di vita. L’uso di questa combinazione è d’obbligo quando la trasmissione dell’infezione al feto sia dimostrata attraverso l’amniocentesi. Nel caso in cui il trattamento non sia stato adeguato o sia iniziato troppo tardi, il bambino potrebbe avere una malattia grave già visibile alla nascita.

Con le attuali possibilità di trattamento, almeno il 90% dei bambini con toxoplasmosi congenita nasce senza sintomi evidenti e risulta negativo alle visite pediatriche di routine. Solo attraverso indagini strumentali più raffinate possono essere rilevabili piccole anomalie a carico dell’occhio e dell’encefalo.

Le probabilità di trasmissione dell’infezione materna al feto aumentano man mano che la gravidanza progredisce: i bambini la cui mamma abbia contratto la toxoplasmosi dopo le 16-24 settimane di gestazione appaiono spesso normali alla nascita, anche se opportune indagini strumentali possono mettere in rilievo alcune anomalie. I feti contagiati nelle prime settimane di gravidanza, invece, sono quelli che subiscono le conseguenze più gravi dell’infezione congenita: interruzione spontanea della gravidanza, idrocefalia, lesioni cerebrali che possono provocare ritardo mentale ed epilessia, ridotta capacità visiva che può portare fino alla cecità.

Come funziona il Toxo-test

Poiché la malattia è spesso asintomatica, idealmente sarebbe bene conoscere il proprio stato prima della gravidanza, e cioè sapere se nel proprio siero siano presenti gli anticorpi per la toxoplasmosi. Si tratta di un semplice esame del sangue: chiamato Toxo-test, permette di classificare le donne in tre classi: “protetta”, “suscettibile” o “a rischio”.

Diagnosi della toxoplasmosi

L’infezione induce nel corpo la produzione di immunoglobuline specifiche: nella prima fase della malattia (quella pericolosa per il nascituro) vengono prodotte IgM, successivamente (in una fase meno rischiosa) gli anticorpi prodotti sono di classe IgG.

Il Toxo-test permette quindi di verificare l’assenza o la presenza di anticorpi, e, in questo secondo caso, di evidenziare se si è ancora in una fase a rischio o se invece la donna è da considerarsi protetta.

Se la condizione della donna non è nota prima della gravidanza, allora il Toxo-test deve essere prontamente eseguito durante la gravidanza, con la prima serie di esami del sangue entro le prime otto settimane di gestazione. Se la donna è protetta (ha gli IgG) il test non deve più essere ripetuto. Nel caso in cui invece la gestante sia “suscettibile”, e quindi non abbia gli IgG né gli IgM, deve eseguire almeno altri due controlli nel corso della gravidanza, a 20 e 36 settimane, per escludere la possibilità di essersi infettata e che quindi il bambino rischi di contrarre una toxoplasmosi congenita.

Nel caso in cui il test dia come risultato la presenza di anticorpi IgM, l’infezione in gravidanza è comunque solo sospetta. Si procede quindi con test sierologici più sofisticati presso centri di riferimento di riconosciuta esperienza sia per accertare la diagnosi sia, eventualmente, per disegnare una terapia. Se l’infezione è confermata, il nascituro, anche se apparentemente sano, dovrà essere seguito per almeno tutto il primo anno di vita da un centro specializzato per poter escludere eventuali danni cerebrali e visivi che insorgano nei mesi successivi.

La toxoplasmosi colpisce più i paesi caldi e umidi

Nel mondo l’incidenza della toxoplasmosi è estremamente variabile: dal 3 al 70% degli adulti risultano sieropositivi per la malattia. La percentuale però è nettamente più elevata nel caso di pazienti già affetti da immunodeficienza, come ad esempio i soggetti che hanno subito un trapianto o i malati di Aids, che raggiungono percentuali del 50.

Questa variabilità è in funzione del clima (più diffusa nei paesi caldo-umidi, meno in quelli freddi), delle condizioni igieniche (più frequente dove l’acqua da bere scorre all’aperto e dove la contaminazione fecale dell’ambiente è elevata), delle abitudini alimentari (più frequente nelle popolazioni che mangiano maiale rispetto a quelle la cui dieta è ricca di pesce).

In tal senso, spostarsi da un paese a bassa circolazione di toxoplasmosi verso uno ad alta circolazione (come il Brasile) rappresenta un possibile rischio per la gestante non protetta.

In Italia c’è poca attenzione alla toxoplasmosi

In Italia, è stato calcolato che circa il 60% delle gestanti affronta una gravidanza senza essere protetta contro la toxoplasmosi. Verosimilmente questa quota è andata aumentando nell’ultimo decennio, perché grazie alla catena del freddo e alle mutate condizioni di allevamento, si è ridotta anche la toxoplasmosi negli animali per la produzione di carne da alimentazione umana.