In quali cibi è presente il bisolfito di sodio e perché dovremmo evitarlo

bisolfito di sodio

Il bisolfito di sodio è uno degli additivi alimentari della grande famiglia dei solfiti. Ampiamente usato nelle conserve di frutta e nei surgelati di pesce, le autorità hanno stabilito il quantitativo massimo consentito ma le etichette non sono chiare e complete

 

Nei laboratori chimici e nei meccanismi complessi della produzione alimentare di tipo industriale sono solo nomi in codice. Sigle apparentemente fredde e innocue che vanno dalla denominazione E220 alla E228. Ai consumatori finali, invece, dovrebbe apparire chiaro che si tratta più genericamente di solfiti e anidride solforosa, additivi alimentari utilizzati perlopiù come conservanti.

Sulla natura dell’anidride solforosa abbiamo pubblicato alcune notizie tecniche (qui per approfondire). Sul loro impiego nell’industria alimentare il dibattito resta aperto: questi additivi sono da sempre oggetto di interesse della comunità scientifica e delle autorità di controllo e vigilanza rispetto ai loro effetti sulla salute pubblica dei consumatori.

In questo focus ci soffermiamo su un additivo alimentare in particolare, che fa parte di questa famiglia allargata: parliamo del “nome in codice” E222, il bisolfito di sodio, anche detto idrogenosolfito di sodio. Tra i camici bianchi degli esperti chimici è etichettato come composto chimico con formula NaHSO3.

Il bisolfito di sodio viene anche utilizzato come agente riducente e sbiancante. Ed è indispensabile per innescare la reazione di Bucherer, una reazione chimica organica consistente nella sostituzione di un ossidrile di un naftolo con un gruppo amminico a opera del bisolfito di sodio. Questa reazione è detta anche “sintesi dell’idantoina”, i cui derivati trovano largo impiego clinico nel trattamento delle sindromi epilettiche e, in minor misura, nelle aritmie cardiache.

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In quali cibi è presente il bisolfito di sodio

Il bisolfito di sodio (E222) è presente in gran parte nei vini, poiché viene utilizzato come alternativa al metabisolfito di sodio. Quest’ultimo è riconoscibile con la sigla E223 (successiva al bisolfito di sodio), e viene impiegato come conservante e antiossidante nel cibo. Viene preferito l’E222 poiché il metabisolfito di sodio può causare reazioni allergiche in quei soggetti sensibili ai solfiti. Nei casi più sensibili può causare reazioni respiratorie (soprattutto nei soggetti asmatici), ma anche anafilassi e altre reazioni allergiche in individui sensibili.

L’E223 è anche un agente pulente; ottimo per la pulizia dell’attrezzatura per la produzione casalinga di bevande e la produzione di vino o birra. È usato nei sistemi di desalinizzazione dell’acqua nelle membrane di osmosi inversa per la produzione di acqua potabile. È usato anche per rimuovere la cloramina dall’acqua dopo il trattamento.

Il bisolfito di sodio nel vino ha il potere di rilasciare anidride solforosa la quale uccide i microrganismi presenti nel mosto prima della fermentazione. Viene poi nuovamente aggiunto come conservante in fase di imbottigliamento del vino.

Il bisolfito di sodio viene utilizzato anche nella produzione di succhi di frutta e di conserve di frutta, per impedirne l’ossidazione (detta anche fase di imbrunimento) e la proliferazione di microbi.

In nome della logica estetica che regna tra gli ammalianti scaffali dei supermercati, il bisolfito di sodio viene utilizzato anche nei vegetali a foglia verde per preservarne l’apparente freschezza, oltre che nelle patate disidratate.

Questo sale sodico dell’acido solforoso può essere contenuto in bevande alcoliche, prodotti caseari, cipolle sott’aceto, surgelati di pesce e molluschi.

Infine, si trova spesso nei crostacei e nei preparati misti per risotti o antipasti.

Le controindicazioni del bisolfito di sodio

Anche il bisolfito di sodio (E222) può provocare una reazione allergica nei soggetti con allergie. Reazioni avverse che possono essere letali. Tanto è vero che negli anni ’80 il suo impiego è stato proibito negli Stati Uniti. La Food and Drug Administration (FDA), l’autorità governativa americana, lo bandì poiché ritenuto responsabile della morte di 13 persone che avevano consumato alimenti trattati con questo additivo.

Il bisolfito di sodio è vietato?

In Europa la sua dose Adi (dose giornaliera ammissibile) è stata fissata in un massimo di 0,7 milligrammi per ciascun chilogrammo di peso corporeo. Limite imposto dall’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare).

È assolutamente vietato come impiego nella carne fresca, dove può essere inserito in maniera illegale e fraudolenta per “mascherare” lo stato di freschezza della carne. Lo sanno molto bene i 3 negozi denunciati nel 2019 a seguito di controlli dei Nas, in collaborazione con l’Asl di Torino.

Come riconoscere il bisolfito di sodio

Negli alimenti dove è consentito l’impiego secondo le quantità imposte dall’Unione europea il bisolfito di sodio deve essere obbligatoriamente indicato come additivo riportante la sigla E222 ben evidenziata con caratteri in grassetto.

Gamberi e crostacei surgelati non sono quasi mai risparmiati dall’E222, poiché si tratta di prodotti maggiormente esposti ai fenomeni di ossidazione enzimatica. Diverso è il caso dei prodotti surgelati misti per zuppe, risotti, condimento per la pasta, dove possono essere presenti più additivi differenti della stessa famiglia dei solfiti. Sono prodotti assemblati con ingredienti trattati singolarmente e con specifici additivi.

Il mercato della grande distribuzione tuttavia riserva alcune sorprese. Esistono marchi più sensibili che distribuiscono prodotti privi di solfiti, o più specificamente di bisolfiti di sodio o metabisolfiti di sodio. Per distinguerli dagli altri bisognerebbe prestare attenzione nella lettura delle etichette.

Gli additivi solforosi sono da evitare?

Le autorità hanno stabilito che il loro consumo a concentrazioni fino a 5000 parti per milione (ppm) è generalmente considerato sicuro. Diverso è il caso di chi soffre di allergie.

Tuttavia, uno studio di qualche anno fa, pubblicato dalla rivista scientifica Plos One,  dimostra che bisolfito di sodio e solfato di sodio sono in grado di danneggiare i batteri benefici presenti nell’intestino umano. Un danno associato a diverse malattie, dato che la presenza di questi batteri utili influenza l’assorbimento di vitamine, i processi metabolici in generale e la risposta immunitaria dell’organismo. Nello studio sono stati testati gli effetti dell’assunzione di solfiti. L’intestino ne risulterebbe danneggiato anche a dosi inferiori a quelle considerate sicure dalle Agenzie internazionali (come Efsa).

Una questione di quantità

È sufficiente la dichiarazione in etichetta dell’eventuale aggiunta di additivi? Quanti sanno decifrare le molte sigle dietro le quali si nascondono?

A prescindere dalle sigle il problema è anche di quantità. Quello che un consumatore non troverà mai indicata è la quantità di solfiti contenuti in un alimento. E di fronte a questa incertezza è davvero complicato valutare se consumando frequentemente un alimento o bevendo un tipo di vino, si può andare incontro a effetti indesiderati.

Diversi regolamenti europei stabiliscono i livelli massimi di anidride solforosa e di solfiti all’interno dei quali devono rientrare alcuni alimenti come ad esempio, molluschi e crostacei non trasformati, pesce e prodotti della pesca trasformati, compresi molluschi e crostacei, frutta e frutta secca, vini rossi, bianchi e rosati.

Le stime sono superiori al quantitativo limite consentito per tutte le sette sostanze (bisolfiti compresi). La legge, in ottemperanza al regolamento Ue numero 1169 del 2011), impone l’obbligo di indicare la presenza di solfiti con la dicitura “contiene solfiti” solo se il contenuto supera i 10mg/kg o mg/l. L’Organizzazione mondiale della salute ha stabilito, come dose giornaliera massima accettabile, 0,7mg di solfiti per Kg di peso corporeo (per un uomo adulto che pesi 70kg parliamo quindi di circa 50mg al giorno).

Ma c’è anche un’altra contraddizione. Se, come sostengono, non sono nocivi in quantità basse, possono esserlo per i soggetti sensibili alle allergie. Il regolamento europeo del 2011 riporta la lista dei 14 allergeni alimentari da indicare con il simbolo. Tra queste 14 categorie di allergeni alimentari vi sono anche anidride solforosa e solfiti, da indicare però solo se in concentrazioni superiori a 10 mg/kg o 10 mg/l espressi come SO2 (usati come conservanti).

La materia è davvero confusa e complessa. Il confine tra i limiti è piuttosto labile e i rischi allergici sono molto variabili, a seconda dei soggetti. A noi consumatori non resta che il potere della scelta. Nel nostro piccolo possiamo modificare le scelte dei produttori spingendoli a preferire metodi naturali. Alcuni produttori vitivinicoli si stanno avviciando alle produzioni alternative all’anidride solforosa per prevenire la fermentazione malolattica. Oltre ai vini biologici, si sta diffondendo l’impiego di enzimi batterici e lisozima al posto di solfiti.

Sulla deperibilità e il colore vivo dei cibi dovrebbe essere ormai chiaro che la spesa al supermercato non è una passerella di moda.

La materia è confusa, ma nella confusione i consumatori possono dare un segnale di chiarezza: possono scegliere la qualità al minor spreco possibile.