Al via la campagna europea Good Clothes, Fair Pay, che chiede un salario dignitoso per i lavoratori dell’abbigliamento, del tessile e delle calzature. L’iniziativa nasce con l’intento di far attuare all’Ue una legislazione ad hoc, a tutela dei lavoratori del tessile e delle calzature, chiedendo un aumento dei salari.
La campagna Good Clothes, Fair Pay nasce con l’intento di mobilitare l’opinione pubblica ed accendere i riflettori sulla condizione di povertà dei lavoratori dell’industria tessile. È promossa in Italia, da Abiti Puliti insieme alla Clean Clothes Campaign, rete internazionale che riunisce organizzazioni a difesa dei diritti umani, dei lavoratori e organizzazioni sindacali e che si batte per il miglioramento delle condizioni di lavoro nell’industria della moda, ed altre organizzazioni internazionali come Fashion Revolution, Fair Wear Foundation, ASN Bank, Fairtrade, Solidaridad, World Fair Trade Organization.
L’obiettivo è quello di raccogliere in un anno, la scadenza è stata fissata a luglio 2023, 1 milione di firme a sostegno dell’Iniziativa dei Cittadini Europei che chiede misure concrete per garantire ai lavoratori dell’industria tessile un salario dignitoso. I lavoratori del tessile rappresentano una delle categorie più sfruttate, con salari molto bassi, situazione che si è aggravata notevolmente con la pandemia. Si stima che l’industria del tessile e delle calzature, abbia accumulato da marzo 2020, inizio della pandemia, a marzo 2021, un debito nei confronti dei lavoratori, di 11,85 miliardi di dollari, pari a 10 miliardi di euro, tra salari non corrisposti, indennità e violazioni.
Gli obiettivi di Good Clothes, Fair Pay
La campagna Good Clothes, Fair Pay, vuol garantire il rispetto e la difesa dei diritti umani dei lavoratori chiedendo un aiuto legislativo, serio e concreto da parte dell’Ue, che è il più grande importatore di capi di abbigliamento al mondo. Per fare ciò invita i cittadini a firmare una petizione da presentare all’Unione europea, chiedendogli un impegno concreto al fine di regolare equamente, i salari di tutti i lavoratori dell’industria dell’abbigliamento. Se l’obiettivo verrà centrato e si raccoglieranno un milione di firme, l’Unione Europea sarà tenuta a prendere una posizione netta, pretendendo da tutte le aziende che operano all’interno dell’Unione, di attuare, monitorare e divulgare pubblicamente un piano con scadenze e obiettivi per colmare il divario tra salario effettivo e salario minimo.
Con una coalizione di oltre 230 organizzazioni, tra cui 70 sindacati, la Clean Clothes Campaign, vuole aprire un dialogo fra i brand della moda, i sindacati e i datori di lavoro, per spingerli a siglare un accordo per garantire il pagamento regolare dei salari, istituire un fondo di garanzia per i licenziamenti e assicurare il rispetto dei diritti fondamentali del lavoro.
È necessario che le aziende del settore tessile e delle calzature adottino misure specifiche per regolamentare i prezzi di acquisto e di produzione, cercando di assicurare, soprattutto alle categorie più a rischio, come le donne ed i lavoratori migranti, un salario congruo a soddisfare le necessità principali dell’individuo. L’organizzazione parla nello specifico di salario dignitoso, ovvero di un salario che permette ai lavoratori di provvedere ai propri bisogni primari, acquistare il cibo, garantirsi una casa, permettersi l’istruzione e l’assistenza sanitaria. L’adeguamento del salario minimo, calcola Abiti puliti in Italia, dovrebbe ammontare a 11 euro netti all’ora.
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I costi salariali, ci tengono a sottolineare gli organizzatori della campagna, rappresentano una minima parte del costo dei vestiti. Un loro adeguamento non causerebbe un aumento del prezzo di mercato dei capi di abbigliamento. Un rapporto di Oxfam, l’organizzazione non profit che si dedica alla riduzione della povertà globale, ha stimato che se i brand pagassero ai lavoratori dell’abbigliamento un salario equo, il costo finale di un capo di abbigliamento aumenterebbe solo dell’1%.