Donne che hanno lottato per i diritti delle donne: le storie di grandi personaggi

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Parliamo di donne che difendono le altre donne. Ma i modelli da seguire per una società più giusta non hanno sempre il volto gentile di signore adulte. Spesso, a cambiare il mondo, sono state “piccole” donne. Bambine o ragazzine “strafottenti” davanti al potere che vuole schiacciarle. Conosciamole meglio

Donne contro altre donne. Se ne parla spesso. A volte è l’altra faccia della violenza femminile. In altri casi è una lotta strumentalizzata dal dominio maschilista, o per banalizzare la loro forza. Ma è di questa forza che non si parla mai abbastanza. Come non sarà mai abbastanza parlare di donne che hanno lottato per i diritti delle donne. Che lottano per difendere altre donne. Magari lontano dalla retorica o dai riflettori talvolta patinati di un movimento Me too movement. Donne che hanno pagato (o rischiano quotidianamente di pagare) con la vita. Donne coraggio o eroine, in un mondo che se fosse più giusto, non avrebbe bisogno di eroine, ma solo di modelli per la società.

Ma i modelli non sono sempre figure adulte. Di esempi ne abbiamo avuti anche nel fiore della loro giovane età. Ragazze e bambine che cambiano il mondo  con la sola forza ingenua della giustizia. Ci sono associazioni, enti e onlus internazionali che ne diffondono l’opera fondando la propria azione sul loro esempio. Per esempio, la Federazione internazionale Terre des Hommes è una rete di 11 organizzazioni nazionali impegnate nella difesa dei diritti dei bambini. E sono numerose le associazioni nel mondo, come fa Terre des hommes, a occuparsi del Terzo settore, un sistema “parallelo” che spesso colma le lacune delle Istituzioni, senza il quale le diseguaglianze del pianeta sarebbero ancora più marcate. Un settore necessario che solo in Italia vale 80 miliardi di euro, un fatturato pari al circa 5% del Pil (Prodotto Interno Lordo), superiore all’intero comparto della moda Made in Italy.

Ragazze e bambine che hanno cambiato il mondo

Terre des Hommes, dunque, rende onore a queste giovani donne che hanno gettato un seme di speranza, guidando l’opera di altre realtà associative. Ragazze e bambine che non si sono limitate a piangersi addosso, anche laddove ne avrebbero tutto il diritto. Storie di donne che resistono, come quelle raccontate nel podcast di ActionAid con Lella Costa, dal titolo Invictae.

Ma anche piccole lottatrici a muso duro, come Malala Yousafzai che già a 17 anni, assieme all’attivista indiano Kailash Satyarthi, riceveva il Premio Nobel per la Pace, accompagnandolo con un messaggio forte e diretto:

“L’istruzione è una delle benedizioni della vita e una necessità. Questa è stata la mia esperienza nei miei 17 anni di vita. Nella mia casa, nella bellissima valle dello Swat (in Pakistan, ndr), ho sempre amato imparare cose nuove. Quando con le mie amiche ci decoravamo le mani con l’henné in occasioni speciali, invece di disegnare fiori, ci dipingevamo le mani con formule matematiche ed equazioni”.

Il 9 ottobre 2012 Malala è stata gravemente ferita in un attacco da parte dei talebani contro l’autobus su cui viaggiava. Nonostante la grave ferita alla testa, Malala sopravvive e continua la sua lotta per il diritto all’istruzione.

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Ha lottato per l’istruzione anche Muzoon Almellehan che, nel 2017, a soli 17 anni, è stata la più giovane e prima rifugiata a diventare ambasciatrice di buona volontà dell’Unicef per il suo impegno a favore del diritto alla scuola per le bambine e le ragazze. Quattro anni prima, a causa della guerra civile in Siria, la famiglia di Muzoon era stata costretta a fuggire dalla città di Daraa. Sebbene il padre le avesse raccomandato di prendere solo lo stretto indispensabile, Muzoon raccoglie quanti più libri può e li nasconde in una borsa:

“Se non potrò andare scuola, almeno potrò studiare su questi libri. Sono il mio futuro”.

Rispose così al padre che la rimproverava. Nel campo profughi di Za’atari Muzoon riprende gli studi, ma lì si accorge che tanti bambini, ma soprattutto ragazze come lei, non possono farlo. Metà delle sue 40 compagne di classe hanno abbandonato la scuola costrette a sposarsi. La giovanissima attivista ha iniziato a girare il campo, tenda per tenda, per convincere i genitori a mandare a scuola i propri figli.

Melati e Isabel Wijsen vivevano a Bali, in Indonesia, uno dei Paesi più degradati al mondo a causa del lavoro precario e dei rifiuti in strada, delle risaie invase dalla plastica. Loro sono la prova che il bene può essere contagioso. Avevano rispettivamente 10 e 12 anni quando, durante una normale mattina di scuola, un insegnante ha presentato alla classe le figure di Nelson Mandela, Martin Luther King e altri celebri personaggi che, con le loro azioni, hanno cambiato il mondo. Un insegnamento per loro illuminante, al punto che, nel 2013 le ragazze hanno lanciato l’iniziativa “Bye bye plastic bags” con l’obiettivo di eliminare l’uso dei sacchetti di plastica dall’isola attraverso una campagna di sensibilizzazione che, a oggi, ha coinvolto più di 16 mila studenti in 12 Paesi. Nel 2017 hanno promosso l’iniziativa “One island one voice” che ha permesso la raccolta di oltre 135 tonnellate di plastica in 325 località di Bali.

L’altra faccia dell’America violenta, dove si possono acquistare armi nei supermercati (l’ultima, ennesima strage in una scuola, a Uvalde, risale solo a qualche settimana fa), ha il volto tenace e inflessibile di una giovane studentessa. Emma González aveva 18 anni quando è sopravvissuta al massacro della Marjory Stoneman Douglas High School di Parkland (Florida) in cui 17 persone, tra studenti e insegnanti, sono stati uccisi a colpi d’arma da fuoco. Emma, però, non si è limitata a piangere per gli amici morti. Quel suo “vergognatevi” urlato ai politici risuona ancora oggi in un Congresso che non ha ancora deciso di bandire le pistole facili.

Come dimenticare Amika George, attivista britannica e promotrice di una petizione che ha raccolto quasi 200 mila firme, costringendo il governo a erogare 1,5 milioni di sterline ad associazioni di beneficienza per il contrasto alla “period poverty”, a suon di hashtag #FreePeriods. Grazie alle sue battaglie social divenute virali, il Paese continua a garantire la distribuzione gratuita di assorbenti a chi ha bisogno, lottando contro la menstrual poverty.

Lo stesso destino toccherà all’adolescente svedese Greta Thunberg. Tra le 25 adolescenti più influenti del 2018 secondo il quotidiano “The Times”, da molti accusata di protagonismo, è finita nel mirino dei paladini del politicamente scorretto, confondendo l’insulto con il diritto di critica. Il fenomeno Greta è stato più forte del bullismo cui è stata sottoposta, e grazie alla rete è diventata il simbolo della lotta al cambiamento climatico (climate change). E semmai ce ne fosse bisogno, proprio questo drammatico periodo di siccità e di crisi energetica continua tristemente a darle ragione.

Le ragazze coraggio al cinema

Modelli o esempi di lotta ci vengono offerti anche dal mondo della finzione letteraria. Come dimenticare Persepolis, film di animazione del 2007, realizzato dal tratto sublime e delicato di una matita, candidato all’Oscar e basato sull’omonima graphic novel autobiografica. Questa pellicola è stata diretta dalla regista e fumettista iraniana Marjane Satrapi e da Vincent Paronnaud. Il titolo è un riferimento all’antica città storica di Persepoli, ma la vera protagonista è proprio una bambina che si chiama Marjane, l’alter ego della sceneggiatrice, personaggio che con la dolcezza diventa icona della lotta per la libertà delle donne.

Marjane è una bambina curiosa, allegra ed energica, educata dai genitori che sono di educazione cittadina borghese, così come la nonna. Lo zio, proveniente da un gruppo comunista delle province dell’Azerbaigian, viene liberato dalla prigione, dov’era stato rinchiuso insieme ad altri prigionieri politici per molti anni, e Marjane si avvicina grazie a lui alla politica e agli eventi che sta vivendo il suo Paese, l’Iran. Lo zio le racconta la sua storia, le sue sofferenze e di come abbia combattuto per il trionfo del proletariato, scappando perfino in Unione Sovietica. La piccola è affascinata e quindi per lei, mentre in Iran la rivoluzione islamica contro lo scià giorno dopo giorno sta prendendo piede, aumenta il proprio coinvolgimento nella vita politica del Paese.

Quando scoppia la guerra tra Iraq e Iran, di fronte a una società sempre meno laica, i genitori la vogliono proteggere e la mandano all’estero, al liceo francese di Vienna. Dopo varie vicende che mostrano le contraddizioni anche del mondo Occidentale, e apparentemente libero, tornerà alle origini scoprendo che il suo Paese è ulteriormente peggiorato. Purtroppo, il suo desiderio di cambiamento resterà una utopia, come lo è ancora oggi in molte nazioni del mondo.

La regista ribelle e yemenita Khadija al-Salami ha portato sul grande schermo la storia della piccola Nojoom, protagonista del film La Sposa Bambina del 2016. Bambina e personaggio della finzione che alla fine della narrazione riuscirà a scappare dal matrimonio forzato, iniziando una solitaria e tenace battaglia contro le pratiche arcaiche della sua famiglia e dalla sua tribù, denunciando il marito ad un tribunale nella speranza di ottenere il divorzio.

Tre anni dopo l’uscita di questo film, l’organizzazione Oxfam, impegnata nella lotta contro la povertà globale, ha denunciato cosa accade nello Stato dello Yemen. Quando è scoppiata la guerra, con quasi 10 milioni di persone sull’orlo della carestia, le prime a farne le spese sono state le più indifese: le bambine che vengono date in spose persino a 3 anni, pur di salvare la famiglia dalla fame. La situazione si aggravava in un Paese dove già le ragazze solitamente vengono date in sposa quando compiono gli 11 anni, e che prima di quell’età sono costrette a svolgere lavori domestici in casa del futuro marito.​

Sono i destini di bambine predestinate che potrebbero cambiare grazie alle eroine che quel destino hanno avuto la forza e il coraggio di non accettarlo.