Inquinamento bacino scolante nella laguna di Venezia. Da Arpav dati preoccupanti per presenza di pesticidi (uno vietato dal ’91) e Pfos. Zanoni (PD): “Serve un’agricoltura che punti al bio e che consumi meno acqua”
I pfas, gli inquinanti per sempre (chiamati così per la loro persistenza in ambiente), continuano a preoccupare gli abitanti del Veneto. Questa volta a destare agitazione sono i dati relativi alla contaminazione della laguna di Venezia. Il consigliere regionale del Pd Veneto, Andrea Zanoni, spiega: “Dalla relazione di Arpav, illustrata alla Commissione Ambiente, riguardante lo ‘Stato ambientale dei corpi idrici del bacino scolante nella laguna di Venezia – anno 2020’, emerge uno scenario preoccupante. Si tratta infatti di una analisi che coinvolge un vasto territorio, comprendente il territorio di Venezia ma anche parti del trevigiano, padovano e vicentino, nel quale la presenza di pesticidi, in riferimento soprattutto agli erbicidi, e delle sostanze perfluoroalchiliche (Pfos) è diffusa e quantitativamente rilevante. Il tutto, a pesante rischio per le falde acquifere”.
I nodi critici sugli erbicidi
Zanoni snocciola i dati preoccupanti: “In merito ai vari fiumi e corsi d’acqua balzano agli occhi le percentuali di erbicidi contenuti nelle acque. In particolare emerge che, a fronte di un obiettivo guida di qualità di 0,005 µg/l (microgrammi per litro), abbiamo concentrazioni inquietanti: nel Bacchiglione di 83,2 µg/l, nel Moltalbano di 200 µg/l, nel Fiumazzo di 155 µg/l, nel Naviglio Brenta di 75,3 µg/l, nel Lusore di 267,3 µg/l, nel Marzenego di 130 µg/l, nel Dese Zero di 116,5 µg/l, nel Vela di 65,7 e nel Bacino scolante nella laguna di Venezia di 115,1 µg/l”.
Il glifosato e l’insetticida vietato dal 1991
E ancora l’esponente dem rileva che “per quanto riguarda altri corsi d’acqua troviamo che erbicidi usati in agricoltura come Glifosato, Metholachlor e Nicosulfuron, sono presenti in particolare nel Canale Vela, Scolo Musoncello, fiume Dese, fiume Zero, Rio Storto, Canale Osellino, Collettore di Levante, fiume Marzenego, Scolo Lusore, Naviglio Brenta, Taglio Novissimo, Scolo Fiumazzo, Scolo Schilla, Canale Scarico e Canale Trezze. “Come se non bastasse è stato ritrovato nel fiume Meolo e Vela anche l’insetticida vietato già dal 1991, il cosiddetto Diclorvos” aggiunge Zanon.
I Pfas trovati
Inoltre in molti corsi d’acqua sono stati riscontrati i Pfas, ovvero le famigerate sostanze perfluoroalchiliche quelle della contaminazione della Miteni di Trissino, come nel caso di fiume Meolo, Canale Vela, Scalo Idrovora Campalto, Scolo Lusore, Naviglio Brenta, Scolo Fiumazzo, Scolo Schilla, Canale Scarico, Fossa Monselesana, Canale Sorgaglia, Canale Cuori, Canale Altipiano e Canale Trezze. Oltretutto, come il Salvagente ha recentemente raccontato, quasi il 70% di tutti i pesticidi introdotti nel mercato globale dal 2015 al 2020 conteneva Pfas o composti correlati, secondo un documento di revisione recentemente pubblicato su Environmental Pollution.
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I pesticidi nelle falde, comune per comune
“A cascata – appunta ancora Zanoni – per le falde acquifere la situazione diventa ancora più preoccupante perché ritroviamo diverse sostanze inquinanti come nel caso, nel trevigiano, del comune di Castelfranco Veneto per nitrati e metolachlor esa, di Loria per pesticidi totali, nitrati, metolachlor e metolachlor esa, di Resana per tricloroetilene e tetracloroetilene, di Riese Pio X per metolachlor esa, di Vedelago per pesticidi totali, nitrati e metolachlor esa, di Maser per atrazina, desetil e desisopropil, di Casale sul Sile, Resana, Zero Branco, San Biagio di Callalta e, nel veronese, Salzano tutti per metolachlor esa e di Jesolo per boro e solfati”.
Serve un’agricoltura bio e non idrovora
In conclusione Zanoni individua le soluzioni per arginare questo tipo di inquinanti: “Serve un’agricoltura che punti al bio e che consumi meno acqua. Serve rivoluzionare un settore che attualmente è ad altissimo utilizzo di chimica di sintesi e di ingenti quantità idriche. Non da ultimo, andrebbe rivista tutta la filiera, puntando su coltivazioni destinate al consumo umano e non, come accade ora, destinate al 90% agli allevamenti intensivi“.