È quello che ci chiede una lettrice a proposito di Yuka, una famosa App che permette di avere un giudizio semplicemente inquadrando il codice a barre dell’alimento o del cosmetico dal telefonino. Come funziona e perché pur essendo molto più avanti dell’etichetta a semaforo ha qualche limite
“Caro Salvagente, ho scaricato un’App che si chiama Yuka, dietro consiglio di alcuni amici, che scansionando il codice a barre dei prodotti ne valuta l’eventuale pericolosità. Ne siete a conoscenza? E la ritenete valida?”
La mail che ci ha voluto inviare Serenella, ci consente di tornare su Yuka, una App di cui ci eravamo occupati quasi 4 anni fa quando già la utilizzavano milioni di francesi ed era diventata un fenomeno degno di attenzione. Oggi l’uso non solo è cresciuto in Francia, ma è arrivato a interessare anche altri paesi d’Europa e l’Italia non fa eccezione.
Cosa ne pensiamo? Ci chiede, Serenella. Ebbene, crediamo che si tratti di una App molto utile ma con qualche limitazione.
Perché Yuka è utile
Molto utile, certamente, per come funziona e per cosa permette. Yuka, infatti, consente ai consumatori tramite lo smartphone di scansionare migliaia di normali prodotti alimentari (e di cosmetici) direttamente sul banco dei supermercati e nei negozi e fornisce una valutazione immediata che si basa sulla composizione e sulla presenza di additivi. Il punteggio attribuito a ogni confezione è calcolato assegnando un peso del 60% per la qualità nutrizionale, il 30% per gli additivi e il 10% per l’eventuale produzione bio.
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Dunque tutt’altro che un’operazione come quella dell’etichetta a semaforo limitata al puro conteggio di calorie, grassi, zuccheri negli alimenti…
Le differenze col sistema che ha scelto la Francia e che piace in Europa (e anche al di fuori, dato che ha il consenso delle multinazionali dell’alimentare) sono evidenti. Un prodotto che abbassa lo zucchero – tanto per fare un solo esempio – grazie all’aspartame ha un buon punteggio sul Nutriscore transalpino e basso per Yuka. Oppure, i nitrati nei salumi non influenzano i colori dell’etichetta sponsorizzata da Parigi ma invece penalizzano molto il giudizio dell’algoritmo della App. E che ci siano molte differenze l’hanno capito anche le industrie, alcune delle quali hanno cominciato a fare la guerra a Yuka. E sono riuscite a farla condannare la scorsa estate dal tribunale amministrativo di Parigi per diffamazione e pratiche commerciali sleali. A citarla in giudizio, vale la pena ricordarlo, era stata proprio la Federazione francese delle industrie dei salumi e insaccati.
E perché è limitata
Nella forza di questa App però, sta anche un suo limite. Il punto di partenza per dare un voto all’alimento, infatti, è quanto dichiara in etichetta. E i lettori del Salvagente – abituati a leggere quanto invece “confessano” le analisi di laboratorio dei nostri test – sanno bene che la lista degli ingredienti non racconta sempre tutto quel che c’è da sapere su un alimento o una bevanda. Niente può dirci Yuka dei pesticidi presenti, chessò, nel minestrone che stiamo scansionando col telefonino, per il semplice fatto che nessuno li dichiara. Nulla sarà in grado di vedere in un pacco di patatine prefritte surgelate, dato che non potrà mai sapere quanto acrilammide contengono. O ancora, non può certo Yuka fare la differenza tra due confezioni di pasta, dato che non è in grado di determinare le micotossine, il glifosato, la tenuta in cottura…
Dopo aver ribadito che siamo convinti che nulla possa sostituire la lettura critica delle etichette fatta da ognuno di noi, bisogna pur sempre dire che con Yuka siamo decine e decine di gradini più alti di quanto saremmo prestando fede solo ai colori dell’etichetta francese o dell’alternativa a batteria ideata dall’Italia. Il gradino successivo?
Semplice: lo sguardo critico di ognuno di noi allo scaffale e – permettetemelo – la lettura del Salvagente.