Davvero dobbiamo sacrificare sicurezza alimentare e ambiente in nome di una presunta scarsità di cibo?

SICUREZZA ALIMENTARE

Come 80 anni fa, anche oggi si fa leva sull’atavico terrore della scarsità di cibo per chiedere di allentare i livelli di sicurezza alimentare e barattare pericoli per la salute in cambio della maggiore produzione. Ma fare altre scelte, più coraggiose, sarebbe possibile, tutelando noi e l’ambiente

Nulla è più prevedibile del futuro che ci aspetta.

Quella che a prima vista appare come una frase a effetto nasconde la chiave di lettura per anticipare ciò che deve avvenire nel breve e medio termine.

Se torniamo indietro di circa 80 anni ci troviamo in una Europa distrutta dalla Seconda Guerra Mondiale, dove popolazioni e strutture erano state per oltre cinque anni coinvolte nella peggiore delle guerre mai vissute dall’uomo. Oltre sessanta milioni di morti, di cui circa il 60% fra la popolazione civile e almeno 35 milioni di feriti. Se ci soffermiamo alla sola Italia la produzione di grano era calata del 50% e si erano persi oltre 750.000 ettari di superficie coltivabile, la nostra autoproduzione era crollata al 60% delle potenzialità e gli stessi fertilizzanti erano appena il 25% delle necessità nazionali prebelliche. Per avere un termine di misura dell’impatto sugli italiani dell’epoca basti considerare che erano disponibili per la popolazione sole 900 kcal al giorno.

Per uscire da una situazione di emergenza del genere furono previsti contributi all’agricoltura e la zootecnia, forme di esenzioni fiscali, ripristino della produzione dei terreni da recuperare, la meccanizzazione dei processi.

Tutto questo ha avuto un costo. E veniamo ai giorni nostri. Oggi si considera a livello planetario un consumo di 4,2 milioni di tonnellate di pesticidi e si ipotizza un aumento di almeno 3,5 milioni di tonnellate per sfamare il pianeta. Cosa è accaduto dagli anni 50 in poi si può facilmente scoprire in questa Review su Food and Energy Security.

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I risultati attuali sono sotto gli occhi di tutti. Solo l’Italia usa circa 114.000mila tonnellate l’anno di fitofarmaci e circa un terzo dell’ortrofrutta che arriva sulle nostre tavole ne contiene un residuo analiticamente misurabile.

Gli effetti sulla sicurezza alimentare di questa pressione antropica sono duplici: una maggiore frequenza nel trovare residui di pesticidi negli alimenti con rischio di effetti cocktail ancora da valutare fino in fondo e dall’altra parte uno sbilanciamento della disponibilità alimentari creando delle aree malnutrite o peggio ancora nutrite male rispetto ad aree malnutrite per eccesso di disponibilità e con l’aumento degli sprechi e dell’impatto sull’ambiente.

Come 80 anni fa anche oggi si fa leva sull’atavico terrore della scarsità di cibo per chiedere di allentare i livelli di sicurezza degli alimenti e barattare pericoli per la salute in cambio della maggiore produzione sostenuta dall’uso di molecole organiche.

Il primo ministro Mario Draghi ha posto troppo semplicisticamente la scelta tra un condizionatore acceso o la pace. Questo è vincere facile, meno semplice sarebbe stato spiegare agli italiani la scelta di tornare a sacrificare un po’ del futuro dell’ambiente, riducendo la biodiversità delle aree protette, sacrificando i terreni da mettere a riposo per acquisire una produzione di massa e non di qualità.

L’Italia e le nazioni del nord del pianeta hanno così bisogno di intensificare le produzioni pagando un dazio sulla sicurezza alimentare, sul benessere della Terra e allargando ancora di più le distanze dai paesi meno sviluppati?  Così sembrerebbe dalla battaglia che si sta svolgendo in Europa contro il Farm to Fork che prevede la riduzione dell’uso di pesticidi e fertilizzanti.

Non può essere invece l’occasione per forzare consumi più responsabili, più sicuri per la salute, di qualità nutrizionale e salutistica maggiore e più ambientali andando a rivedere la logistica, la distribuzione delle risorse fra tutti sul pianeta e contrastando indirettamente anche le pandemie di obesità, diabete, patologie cardiovascolari?

Ci vuole coraggio per fare certe scelte anche impopolari, ma l’emergenza in parte dovuta al COVID ha mostrato che la paura può insegnare qualcosa di buono a patto che si innesti su una radice forte, una pianta più sana e sicura.