Così come è stato pensato e probabilmente così come verrà adottato, il “Sistema di Qualità Nazionale Benessere Animale” non piace a nessuno: né alle associazioni animaliste che ne contestano, addirittura, alcuni tratti di ingannevolezza, né ai medici veterinari che ne lamentano la mancata trasparenza. Nei giorni scorsi i ministri della Salute e delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali hanno tenuto una riunione di consultazione in cui hanno presentato il testo di attuazione dell’art. 224 bis dl 34/2020 che prevede, appunto, il SQNBA.
Il Sistema, secondo il decreto attuativo, risulta basato sulla presenza di specifici parametri di allevamento, registrazione, tracciabilità, derivanti da un sistema di controllo ulteriore ma soprattutto diverso e altro da quello ufficiale, esperito pure da svariate figure professionali, nemmeno laureate, oltre che da medici veterinari, strutturati su livelli diversi di responsabilità e competenze (incaricati, aziendali, valutatori), ma sostanzialmente tanto estranei all’Autorità Competente, come del resto un sistema ad adesione volontaria deve prevedere, quanto invece appaiono, leggendo il decreto, caratterizzati da un’assai debole terzietà complessiva.
“Nessun plusvalore, quindi, rispetto ai percorsi di certificazione ufficiale, trattandosi di un percorso certificativo di processo e assai poco garante della qualità del prodotto” denunciano i medici veterinari che puntano il dito anche verso la mancanza di un “qualsiasi efficace coordinamento con le attività di controllo ufficiale esperite dall’Autorità Competente”. Allo stesso tempo – fanno sapere i veterinari – se la certificazione volesse esclusivamente certificare un processo, “il percorso appare privo della necessaria chiarezza e distinzione tra i percorsi di certificazione ufficiale dei prodotti e quelli di certificazione volontaria dei processi, in termini sia di attori, sia di certificatori, sia di requisiti presupposti e conseguenti output nei diversi sistemi.
D’altro canto le 14 Associazioni aderenti alla “Coalizione contro le #BugieInEtichetta” denunciano che “in un momento in cui emergono con forza tutte le fragilità dell’economia italiana ed europea, il Ministero della Salute e quello delle Politiche Agricole si apprestano ad approvare un decreto che istituisce un’etichetta fuorviante, incapace, visto l’assenza di livelli di qualità crescenti, di favorire una reale transizione verso sistemi di produzione che si allontanino dalle condizioni tipiche degli allevamenti intensivi che, come stiamo purtroppo constatando proprio in questo momento, sono fortemente dipendenti da massicce importazioni di materie prime soggette a forti oscillazioni dei prezzi e speculazione, livellando al ribasso tutta la filiera italiana della produzione alimentare e dimenticandosi di tutti gli impegni presi per una transizione adeguata a forme che garantiscano livelli maggiori di benessere animale”.
Anche nel corso dell’ultima riunione, le Associazioni hanno chiesto la revisione del decreto in alcuni, precisi, punti essenziali: l’introduzione di almeno cinque livelli diversificati per ogni specie chiaramente visibili in etichetta, la cancellazione dei riferimenti alla diminuzione delle emissioni di gas serra nella definizione di benessere animale – azione importante e necessaria ma del tutto scollegata da questa certificazione – la considerazione dei bisogni etologici di specie, della densità di animali e delle condizioni di trasporto tra i criteri atti a determinare il benessere animale. Senza queste modifiche etichettare con il claim “benessere animale” i prodotti sarà un mero atto di inganno nei confronti dei consumatori, degli allevatori che già hanno avviato una transizione e dei veterinari che vedranno mortificata ogni loro reale competenza per accrescere il benessere degli animali.
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