La guerra in Ucraina, tra i tanti effetti negativi che indubitabilmente ha avuto anche su chi non vive (o muore purtropp) sotto le bombe russe, rischia di spazzare via in un solo colpo tutta la politica verde europea. Le avvisaglie ci sono già tutte, che si tratti del Farm to Fork e della riduzione di uso di pesticidi e fertilizzanti, aumento del bio e delle aree agricole a riposo o del New Green Deal energetico, il grande sogno ecologico europeo sembra correre il serio rischio di finire sotto le macerie dell’economia di guerra. Un pericolo di cui abbiamo voluto parlare con chi ha un occhio sensibile alle politiche di Bruxelles e alle pressioni che arrivano da tutta Europa, Italia compresa, come Eleonora Evi europarlamentare e co-portavoce nazionale di Europa Verde.
Anticipiamo qui la parte di intervista in cui abbiamo toccato i temi energetici, di strettissima attualità, sul prossimo numero del Salvagente, in edicola dal 25 marzo i nostri lettori troveranno la parte che riguarda i retroscena che si nascondono dietro il tema della sovranità alimentare, sbandierato tra l’altro dagli industriali italiani con il placet neppure tanto nascosto del governo Draghi.
Onorevole Evi, davvero dobbiamo preparaci a un addio al sogno verde europeo e al New Grean Deal?
Non credo proprio. Ma dovremmo imparare a fare i conti con gli errori del passato per non ripeterli. Abbiamo esternalizzato qualunque cosa, dipendendo dalle importazioni di gas in particolare ma anche di petrolio, carbone e nucleare. Cominciare a parlare, in termini corretti, di sovranità energetica oggi non può più essere un tabù, anzi.
Sicura che tra gli errori non ci siano anche quelli fatti dagli ambientalisti? Massimo Nicolazzi, ex manager di Agip, Eni e Lukoil ha accusato il popolo dei no trivelle di aver fatto un gran regalo a Putin…
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Questa mi sembra una lettura distorta. Non è grazie ai movimenti che la politica economica dell’Unione si è spostata verso la dipendenza dalle importazioni di gas dai paesi terzi. È stata una decisione politica portata avanti per diverse ragioni, non ultima perché costava di più trivellare nei nostri mari piuttosto che acquistare gas e petrolio dall’estero. A spingere verso la politica energetica che abbiamo adottato sono state logiche puramente di prezzo.
Dunque nella crisi energetica attuale non ci sono responsabilità dell’iserismo ideologico verde?
Tutt’altro. A ben vedere erano proprio gli ambientalisti che chiedevano già da tempo un cambio di modello. Che non c’è stato, anzi si è aggravato quello distorto esistente. Faccio mie, per una volta, le parole dell’Alto commissario al Green Deal Frans Timmermans che proprio all’inizio della crisi del gas aveva detto: “Se avessimo iniziato prima la nostra transizione energetica ed ecologica, oggi non ci troveremmo nella condizione in cui siamo”. Le possibili soluzioni erano già sul tavolo da diverso tempo anche perché l’azione prioritaria – quella dell’efficienza energetica per ridurre la nostra domanda di energia – è stata sempre messa da parte. Ci potrebbero essere moltissimi esempi, ne faccio solo uno che può essere calzante: nel settore industriale ci sono stati molti miglioramenti in termini di uso e consumo di energia, ma gli audit energetici che sono previsti per legge per fotografare i consumi di un’azienda producono raccomandazioni che poi non devono essere applicate. Uno spreco e uno sbaglio.
Perché? Ci spieghi
Quando l’analisi del rapporto costo/benefici di questi interventi sono positive non si capisce perché non debbano essere resi vincolanti gli interventi. Questa è una delle modifiche che sto cercando di fare come relatrice della Direttiva efficienza energetica. Assieme all’abbassamento delle dimensioni dell’aziende coperte dal regolamento, per intervenire anche su quelle più piccole.
Obblighi e vincoli che non saranno certo ben visti dalle aziende in un periodo di crisi come questo…
Ovviamente per portare avanti questi interventi servono aiuti e sostegni finanziari, ci mancherebbe altro. L’Europa deve essere qui per questo. Ma, ripeto, tutta la partita sull’efficienza energetica poteva e doveva essere giocata prima invece di alimentare il solito modello basato sulle fonti fossili e legarci mani e piedi ai fornitori dei paesi terzi.
Le priorità del momento, però, sembrano altre: quelle di trovare altri fornitori di gas.
Oggi sarebbe sbagliatissimo chiudere il rubinetto della Russia e aumentare quelli che provengono da altri paesi, Algeria, Quatar, Libia in primis. Non risolviamo una dipendenza creandone altre.
Non c’è il rischio che torni il carbone?
Questo viene continuamente paventato. Draghi e lo stesso Cingolani vi hanno fatto riferimento. Ritengo che anche in questo caso si tratterebbe di un grande errore sul piano ambientale, climatico e per di più sanitario. Sappiamo benissimo l’impatto climatico del carbone e conosciamo bene il grado di inquinamento dell’aria che è in grado di produrre. Riattivare le centrali che abbiamo chiuso, le poche presenti che ancora in Italia ci sono – che che ne dica il presidente Draghi, ci sono centrali ancora aperte nel nostro paese – sarebbe ancora più sbagliato.
E allora come ne usciamo?
Se partiamo da subito con lo sblocco delle richieste di progetti di rinnovabili – 110 gigawatt di richieste pendenti che ancora non vengono autorizzate – e iniziamo a fare un piano serio di solare ed eolico, con le riserve che oggi abbiamo per il prossimo inverno, il carbone non servirebbe.
Però anche sull’eolico le resistenze non sono poche. Anche dalle amministrazioni locali.
Credo sia paradossale che sulle coste come quelle romagnole dove si è tollerata serenamente una piattaforma petrolifera o addirittura i progetti di cattura e stoccaggio del carbonio che ora Eni vorrebbe realizzare, si faccia una grandissima opposizione ai progetti di eolico off-shore. Questo davvero non ha alcun senso. È vero che si invoca da più parti la tutela del paesaggio per contestare altri parchi eolici, ma io ritengo che in questo momento non possiamo permetterci di perderci in questo tipo di considerazioni. Anche perché l’emergenza è di accelerare sul dispiegamento di energie rinnovabili. I vincoli del resto già ci sono e sono molto forti, ad esempio sull’individuazione di aree per l’istallazione di impianti.
Dal suo punto di osservazione qual è la posizione del nuovo governo tedesco sulla transizione ecologica? I Verdi faranno marcia indietro in un paese che da sempre è di grande influenza nelle politiche europee?
Il governo tedesco si è dato un obiettivo ambizioso sulle rinnovabili: 80% di energia da queste fonti entro il 2030. Impegni dal mio punto di vista realistici. Credo che anche il nostro governo dovrebbe guardare molto alla Germania e ispirarsi alle sue politiche. Certo, si parte da situazioni molto diverse perché bisogna sempre ricordare che il mix energetico di ogni Stato membro è diverso. E questa è stata anche la mancanza dell’Unione, che ha dato gli obiettivi generali ma poi ha sempre consentito ai paesi di fare un po’ come volevano su come raggiungerli. La scelta della Germania di abbandonare il nucleare in favore delle rinnovabili fa sì che in questo momento si parli solo di quanto carbone e quanto gas stanno utilizzando i tedeschi, ma l’obiettivo immediato è alimentare a gas le vecchie centrali a carbone e passare alle rinnovabili al 2030. E il 2030 è dietro l’angolo.
Secono lei resisterà il New Green Deal energetico?
Sono cautamente ottimista perché la Commissione europea stessa ha lanciato obiettivi concreti come il dispiegamento dei tetti solari in tutta l’Unione o l’ondata di ristrutturazioni che vuole tentare di stimolare, misure che sebbene ancora siano poco chiare – e la Commissione si sta prendendo tempo per delinearle – fanno parte di un processo oramai istradato. Certo sarebbe fondamentale, dato il momento, velocizzarle ma credo sia difficile tornare indietro. La consapevolezza che dobbiamo uscire dalle fonti fossili c’è, tutto sta a capire quanto tempo sarà necessario e quanto sostegno verrà dato alle soluzioni diverse. Al momento nella lista dei progetti comuni da finanziare con soldi pubblici ci sono ancora quelli che riguardano il gas. Un grande errore perché un euro tolto alle rinnovabili e all’efficienza energetica è un euro sprecato. Il percorso, dunque è avviato ma ci sono ancora ostacoli.