Il venditore di un veicolo non può rifiutare di riconoscere la garanzia sostenendo che il cliente non ha dato la prova del difetto che lamenta. La Corte di Cassazione ha, infatti, nuovamente sostenuto che basta che il consumatori si limiti a denunciare il difetto. Nel caso di specie, il venditore sosteneva che le riparazioni da lui effettuate in garanzia implicassero un vizio di conformità, di cui oltretutto andava dimostrata l’esistenza fin dalla consegna del mezzo nuovo.
Quello contenuto nell’ordinanza 3695/2022 non è un principio nuovo: il codice del consumo – prevalente rispetto al codice civile – presume che un difetto esista sin dalla consegna, se si manifesta entro sei mesi (diventati un anno per i contratti conclusi dal 1° gennaio 2022, Dlgs 170/2021) e viene denunciato dal consumatore entro due mesi dalla scoperta (condizione abolita dal Dlgs 170/2021 per i nuovi contratti). Il venditore resta responsabile per i difetti che si manifestano entro due anni dalla consegna, solo che dopo sei mesi l’onere della prova passa sul consumatore.
Ma quest’onere è “asimmetrico”: al consumatore, data la sua posizione più debole, basta “denunciare” e non anche dimostrare, per cui fa fede qualunque mezzo idoneo (per esempio, il documento di accettazione in officina, in cui dichiara che c’è un difetto e lo descrive per come può, in rapporto alla complessità tecnica dell’oggetto difettoso, che sui veicoli è alta). La Cassazione lo ricava dalla sua sentenza 5142/2003 e dall’articolo 5 della direttiva europea 1999/44, per come è stato interpretato dalla Corte Ue nella sentenza 4 giugno 2015 (causa C-497/13). Il cliente non è nemmeno obbligato a indicare la causa del presunto difetto né una sua eventuale origine imputabile al venditore.